Monaci eroi di civilta' |
I monaci ebbero un ruolo determinante nello sviluppo della civiltà
occidentale; eppure, a considerare la pratica più antica del
monachesimo, difficilmente si sarebbe potuta immaginare l'enorme
influenza che esso avrebbe esercitato sul mondo esterno. Tale influenza
risulta meno sorprendente se si richiamano a mente le parole di Cristo:
«Cercate prima il regno di Dio e la sua giustizia, e tutte queste altre
cose vi saranno date in sovrappiù» [Matteo 6, 33; NdT]. La storia dei
monaci è racchiusa in queste semplici parole.
Benché lo scopo di un monaco nel ritirarsi in un monastero fosse quello di coltivare una vita spirituale più disciplinata e, per meglio dire, di lavorare per la propria salvezza in un ambiente e sotto un regime che favorisse questo scopo, il suo ruolo nella civiltà occidentale si sarebbe dimostrato fondamentale. Sebbene i monaci non intendessero compiere azioni memorabili per la civiltà occidentale, tuttavia con il passare del tempo essi seppero apprezzare la missione a cui i tempi sembravano chiamarli.
Le arti pratiche
Le persone più istruite pensano che il maggior contributo dato dai benedettini alla civiltà occidentale sia l'attività di studio e culturale in senso lato. In verità, i benedettini coltivarono in modo notevole un altro aspetto della civiltà occidentale, ossia ciò che potremmo definire "le arti pratiche". L'agricoltura è un esempio particolarmente significativo. Nel primo Novecento Henry Goodell, presidente di quel che sarebbe poi diventato il Massachusetts Agricultural College, celebrò «d'opera che questi grandiosi monaci svolsero lungo un arco di millecinquecento anni. I benedettini salvarono l'agricoltura quando nessun altro avrebbe potuto salvarla; la esercitarono nell'ambito di un nuovo stile di vita e di nuove condizioni di vita, in un tempo in cui nessun altro osava cimentarsi con l'agricoltura» (7). Le fonti documentarie su questo punto sono considerevoli: «Dobbiamo ai monaci la ricostruzione agraria di gran parte dell'Europa», sostiene uno studioso. «Ovunque andassero», sottolinea un altro studioso, i benedettini «trasformarono terra desolata in terra coltivata. Intraprendevano la coltivazione del bestiame e della terra, lavoravano con le proprie mani, prosciugavano paludi e abbattevano foreste. Furono i benedettini a trasformare la Germania in una terra fruttifera». Un altro storico ricorda che «ogni monastero benedettino era una sorta di «college» agrario per l'intera regione in cui era situato» (8). Persino lo statista e storico francese del Novecento François Guizot, che non nutriva particolari simpatie per la Chiesa Cattolica, osservò: «I monaci benedettini furono gli agricoltori d'Europa. La pulirono su larga scala, associando agricoltura e predicazione» (9).
Nella vita monastica svolse un ruolo importante il lavoro manuale, al quale la Regola benedettina si richiamava espressamente. Sebbene la Regola fosse nota per la sua moderazione e la sua avversione per le punizioni eccessivamente severe, cogliamo spesso i monaci nell'atto di farsi carico di un lavoro difficile e poco attraente, dal momento che per loro tali opere erano canali di grazia e opportunità di mortificazione della carne. Ciò fu certamente vero riguardo all'opera da loro svolta nel disboscamento e nella bonifica delle terre. L'opinione prevalente sugli acquitrini era che fossero fonti di pestilenza di nessun valore. Ma i monaci prosperarono in tali luoghi e abbracciarono le sfide che essi presentavano. In breve tempo riuscirono a costruire argini e a prosciugare la zona paludosa e a trasformare in fertile terra agricola ciò che era stato fonte di malattia e sporcizia (10).
Ovunque andassero, i monaci portavano raccolti, industrie o metodi di produzione che nessuno aveva mai visto prima. Introducevano qui l'allevamento del bestiame e dei cavalli, lì la fabbricazione della birra, o l'apicoltura, o la frutticoltura. Dovettero ai monaci la propria esistenza il commercio del grano in Svezia, la fabbricazione del formaggio a Parma, i vivai di salmone in Irlanda e, in moltissimi luoghi, le vigne più amene. I monaci facevano scorta di acque provenienti dalle sorgenti, al fine di distribuirle durante le siccità. I monaci dei monasteri di Saint Laurent e di Saint Martin, visto che le acque delle sorgenti si disperdevano inutilmente nelle pianure di Saint Gervais e Belleville, decisero di deviarle su Parigi. In Lombardia i contadini appresero dai monaci l'arte dell'irrigazione, che contribuì in modo determinante a render celebre quella regione in tutta Europa per la sua fertilità e le sue ricchezze. Inoltre, i monaci furono i primi a lavorare per il miglioramento delle razze di bestiame, sottraendo quest'opera al caso (15).
In molte occasioni il buon esempio dei monaci servì da ispirazione e modello, grazie soprattutto al grande rispetto e alla grande reverenza da loro portati al lavoro manuale in generale e all'agricoltura in particolare. «L'agricoltura era caduta in una fase di declino», secondo uno studioso; «le paludi avevano preso il posto di campi un tempo fertili, e gli uomini che avrebbero dovuto lavorare la terra disprezzavano l'aratro considerandolo degradante». Ma quando i monaci emersero dalle loro celle per andare a scavare canali di scolo e arare i campi, «la loro fatica ebbe un effetto magico, e si tornò alla nobile, a lungo disprezzata, industriosità» (16). Papa san Gregorio Magno (590-604) ci racconta una storia rivelatrice a proposito dell'abate Equizio, un missionario del VI secolo famoso per la sua eloquenza: un messo del Papa giunse al suo monastero in cerca di Equizio, andò di filato allo scriptorium, aspettandosi di trovarlo tra i copisti, ma non lo trovò: i calligrafisti spiegarono semplicemente: «È laggiù nella valle, che falcia l'avena» (17).
I monaci furono pionieri anche nella produzione del vino, che usavano sia per la celebrazione della Santa Messa sia per il loro consumo quotidiano, che la Regola di san Benedetto espressamente permetteva. La stessa scoperta dello champagne si può far risalire a un monaco benedettino, Dom Perignon, dell'abbazia di Saint Pierre a Hautvillers sulla Marna.
I monaci furono anche importanti inventori e sperimentatori. I cistercensi, un ordine benedettino tendenzialmente riformista stabilitosi a Citeaux nel 1098, sono particolarmente famosi per la loro abilità tecnologica. Grazie alla grande rete di comunicazione esistente tra i vari monasteri, la competenza tecnologica poté diffondersi rapidamente, ragione per cui troviamo sistemi idraulici molto simili in monasteri molto distanti l'uno dall'altro, anche migliaia di chilometri (19). «Questi monasteri», scrive uno storico, «furono le unità economicamente più efficaci mai esistite in Europa, e forse nel mondo» (20).
Il monastero cistercense di Chiaravalle, in Francia, ci ha lasciato un resoconto del XII secolo riguardante l'uso che in quel luogo si faceva dell'energia idraulica, che rivela in quale misura sorprendente le macchine fossero diventate essenziali alla vita europea. Generalmente la comunità monastica cistercense dirigeva la propria fabbrica. I monaci usavano l'energia idraulica per battere il frumento, setacciare la farina, follare i panni, e per la conciatura (21). Come sottolinea Jean Gimpel nel suo libro «The Medieval Machine» («La macchina medievale»), il resoconto in oggetto si sarebbe potuto scrivere settecentoquarantadue volte, ovvero il numero dei monasteri cistercensi presenti in Europa nel XII secolo. Lo stesso livello di perizia e successi tecnologici si sarebbe potuto osservare in pressoché tutti i monasteri cistercensi (22).
Il mondo dell'antichità classica non aveva adottato in alcun grado significativo la meccanizzazione per uso industriale. Ciò avvenne, in misura enorme, nel mondo medievale; un fatto simboleggiato e rispecchiato dall'uso che i cistercensi fecero dell'energia idraulica [...].
I monaci consiglieri tecnici
I cistercensi furono noti anche per la loro abilità metallurgica. «Nella loro rapida espansione in tutta Europa», scrive Jean Gimpel, i cistercensi devono aver «giocato un ruolo nella diffusione di nuove tecniche, poiché l'alto livello della loro tecnologia agraria era pari alla loro tecnologia industriale. Ogni monastero possedeva una fabbrica modello, spesso ampia come la chiesa, da cui distava appena pochi passi, e l'energia idraulica guidava le macchine delle varie industrie situate al primo piano» (24). Talvolta i monaci ricevevano in dono depositi di minerale di ferro, quasi sempre con le forge che servivano per estrarre il ferro, talaltra acquistavano depositi e forge. Sebbene avessero necessità di ferro, col tempo i monasteri cistercensi avrebbero cominciato a vendere le eccedenze di questo minerale; addirittura, dalla metà del Duecento fino a tutto il Seicento i cistercensi furono i principali produttori di ferro della regione della Champagne. Sempre desiderosi di aumentare l'efficienza dei propri monasteri, i cistercensi usavano come fertilizzante le scorie prodotte dalle fornaci, giacché la loro concentrazione di fosfati le rendeva particolarmente utili a questo scopo (25).
Tali opere furono parte di un più ampio fenomeno di impegno tecnologico da parte dei monaci. Come osserva Gimpel, «Il Medioevo introdusse in Europa le macchine in una misura fino ad allora sconosciuta anche ad altre civiltà» (26). Secondo un'altra fonte, i monaci furono «gli esperti e non pagati consiglieri tecnici del terzo mondo del loro tempo, vale a dire l'Europa dopo l'invasione dei barbari (...). In effetti, che fosse la macinatura del sale, del piombo, del ferro, dell'allume o del gesso, o la metallurgia, l'escavazione del marmo, il tener bottega di coltellinaio o una fabbrica di vetro, o il forgiare piastre di metallo, note anche come "piastre del focolare", non vi era alcuna attività in cui i monaci non dessero prova di creatività e di uno spirito di ricerca fecondo. I benedettini sapevano incanalare il proprio lavoro verso la perfezione. La perizia coltivata nei monasteri si sarebbe diffusa per tutta l'Europa (27).
Le attività dei monaci spaziavano da curiosità interessanti al decisamente pratico. All'inizio dell'XI secolo, per esempio, un monaco di nome Eilmer volò con un aliante per più di 180 metri; la sua impresa fu ricordata per i successivi tre secoli (28). Secoli dopo, il bresciano Francesco Lana Terzi (1631-87), non un monaco ma un padre gesuita, proseguì in modo più sistematico lo studio del volo, guadagnandosi l'onore di essere chiamato il padre dell'aviazione. Il suo libro «Prodromo alla arte maestra», del 1670, fu il primo a descrivere la geometria e la fisica di un vascello volante. (29)
I monaci annoverarono anche abili orologiai. Il primo orologio di cui abbiamo notizia fu costruito dal futuro Papa Silvestro II per la città tedesca di Magdeburgo intorno all'anno 996. Orologi molto più sofisticati furono fabbricati in seguito da altri monaci. Nel Trecento un monaco di Glastonbury, Peter Lightfoot, costruì uno degli orologi più antichi ancora esistenti, che oggi è conservato, in eccellente stato, nel Museo della Scienza di Londra.
Sempre nel Trecento, Riccardo di Wallingford, abate dell'abbazia benedettina di Saint Albans - nonché uno degli iniziatori della trigonometria occidentale - si distinse per il grande orologio astronomico che disegnò per quel monastero. Qualcuno ha osservato che un orologio che lo eguagliasse in finezza tecnologica non si sarebbe visto per almeno due secoli. Il magnifico orologio, una meraviglia del suo tempo, non è sopravvissuto, distrutto, forse, durante le confische di monasteri effettuate nel Cinquecento per volontà di Enrico VIII. Tuttavia, gli appunti di Richard sul disegno dell'orologio hanno permesso agli studiosi di riprodurne un modello e persino una ricostruzione a grandezza naturale. Oltre a registrare il passare del tempo, l'orologio poteva prevedere con accuratezza le eclissi lunari.
Gli archeologi stanno ancora scoprendo l'estensione delle competenze e dell'abilità tecnologica dei benedettini. Nei tardi anni Novanta del Novecento, l'archeometallurgo Gerry McDonnell dell'Università di Bradford, in Inghilterra, ha scoperto le prove, vicino all'abbazia di Rievaulx, nello Yorkshire settentrionale, di un grado di raffinatezza tecnologica che va nella direzione delle grandi macchine della Rivoluzione industriale del Settecento. (L'abbazia di Rievaulx fu uno dei monasteri che Enrico VIII fece chiudere negli anni Trenta del Cinquecento nell'ambito del suo piano di confisca dei beni della Chiesa). Esplorando i frammenti di Rievaulx e Laskill (sede decentrata a circa sessanta chilometri dal monastero), McDonnell ha scoperto che i monaci avevano costruito una fornace per estrarre ferro dal minerale di ferro.
McDonnell è certo che i monaci fossero vicinissimi a costruire fornaci per la produzione, su larga scala, di ferro battuto - forse l'ingrediente chiave che inaugurò l'era industriale - e che la fornace di Laskill fosse servita da prototipo. «Gli elementi chiave sono che ogni anno si teneva un raduno di abati e che i cistercensi avevano i mezzi per far circolare da un capo all'altro dell'Europa i progressi tecnologici», ha dichiarato McDonnell. «La disgregazione dei monasteri spezzò questa rete di "trasferimento di tecnologia"». I monaci «avevano il potenziale per passare ad altiforni che non producessero nient'altro che ferro battuto. Erano pronti per farlo su grande scala. Spezzando quel monopolio virtuale, Enrico VIII ne spezzò il potenziale» (30).
Sembra insomma che fu solo la soppressione dei monasteri per volere di un re avido a impedire ai monaci di inaugurare l'era industriale e dare così inizio all'esplosione economica e demografica, nonché all'innalzamento dell'aspettativa di vita. Perché ciò avvenisse dovettero passare due secoli e mezzo.
Opere di carità
Esamineremo nel dettaglio in un altro capitolo le opere caritatevoli compiute dalla Chiesa. [...]
Questi esempi costituiscono solo una piccola parte delle premure che i monaci nutrivano per le persone che abitavano o si trovavano a passare nei dintorni delle loro dimore: a loro si deve anche la costruzione o la riparazione di ponti, strade e altri elementi che formavano le infrastrutture dell'età medievale.
Il contributo dei monaci più familiare alla maggior parte di noi è la copiatura dei codici, sia quelli sacri sia quelli dell'antichità pagana. A questo compito e a quelli ad esso legati veniva accordato un onore speciale.
La parola scritta
Per quanto onorato, il lavoro dei copisti era difficile e impegnativo. Su un codice monastico sono annotate queste parole: «Colui che non sa scrivere immagina che ciò non sia una fatica, ma sebbene soltanto tre dita tengano la penna, è il corpo intero a stancarsi». I monaci si trovavano spesso a lavorare nel freddo più inclemente. Un monaco copista, implorando la nostra simpatia mentre completava una copia del commentario di san Girolamo al «Libro di Daniele», scrisse: «Buoni lettori che usate quest'opera, vi prego, non dimenticate colui che la copiò: era un povero fratello di nome Luigi, che, mentre trascriveva questo volume, portato da un paese straniero, sopportò il freddo e fu obbligato a portare a termine di notte quel che non era capace di scrivere alla luce del giorno. Ma Tu, Signore, concedi, ti prego, piena ricompensa alle sue fatiche» (35).
Nel VI secolo un senatore romano in pensione [senatore dell'Impero Romano d'Oriente; NdT], di nome Cassiodoro, ebbe una precoce visione del ruolo culturale che avrebbe avuto il monastero. Intorno alla metà del secolo, Cassiodoro fondò nell'odierna Calabria il monastero di Vivarium e lo fornì di una bella biblioteca - la sola biblioteca del VI secolo che gli studiosi conoscano anche solo per sentito dire - ponendo in primo piano l'importanza della copiatura dei codici. Alcuni importanti codici cristiani trascritti a Vivarium sembra siano giunti sin nella Biblioteca Lateranense e nelle mani dei papi (36).
Sorprende, però, che non sia a Vivarium, ma ad altre biblioteche e ad altri «scriptoria» monastici che dobbiamo la sopravvivenza della letteratura latina antica nella sua quasi totalità. Quando non furono salvate e trascritte dai monaci, le opere dell'antichità latina furono conservate dalle biblioteche e dalle scuole associate alle grandi cattedrali del Medioevo (37). Così, anche quando non dava un contributo originale suo proprio, la Chiesa conservava libri e documenti che si sarebbero rivelati di importanza cruciale per la civiltà che avrebbe salvato.
La Chiesa, in effetti, curò, preservò, studiò e insegnò le opere degli antichi, che altrimenti sarebbero andate perdute.
Alcuni monasteri furono conosciuti per la loro perizia in particolari rami del sapere. Così, per esempio, i monaci di San Benigno, a Digione, impartivano lezioni di medicina; il monastero di San Gallo, nell'odierna Svizzera, aveva una scuola di pittura e incisione, e in certi monasteri tedeschi si poteva assistere a lezioni di greco antico, ebraico e arabo (42).
Spesso i monaci arricchivano la propria istruzione frequentando una o più di una delle scuole monastiche fondate durante la rinascita carolingia e oltre.
L'ammirazione che la civiltà occidentale nutre per la parola scritta e per i classici viene dalla Chiesa Cattolica, che durante le invasioni barbariche preservò l'una e gli altri.
Benché lo scopo di un monaco nel ritirarsi in un monastero fosse quello di coltivare una vita spirituale più disciplinata e, per meglio dire, di lavorare per la propria salvezza in un ambiente e sotto un regime che favorisse questo scopo, il suo ruolo nella civiltà occidentale si sarebbe dimostrato fondamentale. Sebbene i monaci non intendessero compiere azioni memorabili per la civiltà occidentale, tuttavia con il passare del tempo essi seppero apprezzare la missione a cui i tempi sembravano chiamarli.
Le arti pratiche
Le persone più istruite pensano che il maggior contributo dato dai benedettini alla civiltà occidentale sia l'attività di studio e culturale in senso lato. In verità, i benedettini coltivarono in modo notevole un altro aspetto della civiltà occidentale, ossia ciò che potremmo definire "le arti pratiche". L'agricoltura è un esempio particolarmente significativo. Nel primo Novecento Henry Goodell, presidente di quel che sarebbe poi diventato il Massachusetts Agricultural College, celebrò «d'opera che questi grandiosi monaci svolsero lungo un arco di millecinquecento anni. I benedettini salvarono l'agricoltura quando nessun altro avrebbe potuto salvarla; la esercitarono nell'ambito di un nuovo stile di vita e di nuove condizioni di vita, in un tempo in cui nessun altro osava cimentarsi con l'agricoltura» (7). Le fonti documentarie su questo punto sono considerevoli: «Dobbiamo ai monaci la ricostruzione agraria di gran parte dell'Europa», sostiene uno studioso. «Ovunque andassero», sottolinea un altro studioso, i benedettini «trasformarono terra desolata in terra coltivata. Intraprendevano la coltivazione del bestiame e della terra, lavoravano con le proprie mani, prosciugavano paludi e abbattevano foreste. Furono i benedettini a trasformare la Germania in una terra fruttifera». Un altro storico ricorda che «ogni monastero benedettino era una sorta di «college» agrario per l'intera regione in cui era situato» (8). Persino lo statista e storico francese del Novecento François Guizot, che non nutriva particolari simpatie per la Chiesa Cattolica, osservò: «I monaci benedettini furono gli agricoltori d'Europa. La pulirono su larga scala, associando agricoltura e predicazione» (9).
Nella vita monastica svolse un ruolo importante il lavoro manuale, al quale la Regola benedettina si richiamava espressamente. Sebbene la Regola fosse nota per la sua moderazione e la sua avversione per le punizioni eccessivamente severe, cogliamo spesso i monaci nell'atto di farsi carico di un lavoro difficile e poco attraente, dal momento che per loro tali opere erano canali di grazia e opportunità di mortificazione della carne. Ciò fu certamente vero riguardo all'opera da loro svolta nel disboscamento e nella bonifica delle terre. L'opinione prevalente sugli acquitrini era che fossero fonti di pestilenza di nessun valore. Ma i monaci prosperarono in tali luoghi e abbracciarono le sfide che essi presentavano. In breve tempo riuscirono a costruire argini e a prosciugare la zona paludosa e a trasformare in fertile terra agricola ciò che era stato fonte di malattia e sporcizia (10).
Ovunque andassero, i monaci portavano raccolti, industrie o metodi di produzione che nessuno aveva mai visto prima. Introducevano qui l'allevamento del bestiame e dei cavalli, lì la fabbricazione della birra, o l'apicoltura, o la frutticoltura. Dovettero ai monaci la propria esistenza il commercio del grano in Svezia, la fabbricazione del formaggio a Parma, i vivai di salmone in Irlanda e, in moltissimi luoghi, le vigne più amene. I monaci facevano scorta di acque provenienti dalle sorgenti, al fine di distribuirle durante le siccità. I monaci dei monasteri di Saint Laurent e di Saint Martin, visto che le acque delle sorgenti si disperdevano inutilmente nelle pianure di Saint Gervais e Belleville, decisero di deviarle su Parigi. In Lombardia i contadini appresero dai monaci l'arte dell'irrigazione, che contribuì in modo determinante a render celebre quella regione in tutta Europa per la sua fertilità e le sue ricchezze. Inoltre, i monaci furono i primi a lavorare per il miglioramento delle razze di bestiame, sottraendo quest'opera al caso (15).
In molte occasioni il buon esempio dei monaci servì da ispirazione e modello, grazie soprattutto al grande rispetto e alla grande reverenza da loro portati al lavoro manuale in generale e all'agricoltura in particolare. «L'agricoltura era caduta in una fase di declino», secondo uno studioso; «le paludi avevano preso il posto di campi un tempo fertili, e gli uomini che avrebbero dovuto lavorare la terra disprezzavano l'aratro considerandolo degradante». Ma quando i monaci emersero dalle loro celle per andare a scavare canali di scolo e arare i campi, «la loro fatica ebbe un effetto magico, e si tornò alla nobile, a lungo disprezzata, industriosità» (16). Papa san Gregorio Magno (590-604) ci racconta una storia rivelatrice a proposito dell'abate Equizio, un missionario del VI secolo famoso per la sua eloquenza: un messo del Papa giunse al suo monastero in cerca di Equizio, andò di filato allo scriptorium, aspettandosi di trovarlo tra i copisti, ma non lo trovò: i calligrafisti spiegarono semplicemente: «È laggiù nella valle, che falcia l'avena» (17).
I monaci furono pionieri anche nella produzione del vino, che usavano sia per la celebrazione della Santa Messa sia per il loro consumo quotidiano, che la Regola di san Benedetto espressamente permetteva. La stessa scoperta dello champagne si può far risalire a un monaco benedettino, Dom Perignon, dell'abbazia di Saint Pierre a Hautvillers sulla Marna.
I monaci furono anche importanti inventori e sperimentatori. I cistercensi, un ordine benedettino tendenzialmente riformista stabilitosi a Citeaux nel 1098, sono particolarmente famosi per la loro abilità tecnologica. Grazie alla grande rete di comunicazione esistente tra i vari monasteri, la competenza tecnologica poté diffondersi rapidamente, ragione per cui troviamo sistemi idraulici molto simili in monasteri molto distanti l'uno dall'altro, anche migliaia di chilometri (19). «Questi monasteri», scrive uno storico, «furono le unità economicamente più efficaci mai esistite in Europa, e forse nel mondo» (20).
Il monastero cistercense di Chiaravalle, in Francia, ci ha lasciato un resoconto del XII secolo riguardante l'uso che in quel luogo si faceva dell'energia idraulica, che rivela in quale misura sorprendente le macchine fossero diventate essenziali alla vita europea. Generalmente la comunità monastica cistercense dirigeva la propria fabbrica. I monaci usavano l'energia idraulica per battere il frumento, setacciare la farina, follare i panni, e per la conciatura (21). Come sottolinea Jean Gimpel nel suo libro «The Medieval Machine» («La macchina medievale»), il resoconto in oggetto si sarebbe potuto scrivere settecentoquarantadue volte, ovvero il numero dei monasteri cistercensi presenti in Europa nel XII secolo. Lo stesso livello di perizia e successi tecnologici si sarebbe potuto osservare in pressoché tutti i monasteri cistercensi (22).
Il mondo dell'antichità classica non aveva adottato in alcun grado significativo la meccanizzazione per uso industriale. Ciò avvenne, in misura enorme, nel mondo medievale; un fatto simboleggiato e rispecchiato dall'uso che i cistercensi fecero dell'energia idraulica [...].
I monaci consiglieri tecnici
I cistercensi furono noti anche per la loro abilità metallurgica. «Nella loro rapida espansione in tutta Europa», scrive Jean Gimpel, i cistercensi devono aver «giocato un ruolo nella diffusione di nuove tecniche, poiché l'alto livello della loro tecnologia agraria era pari alla loro tecnologia industriale. Ogni monastero possedeva una fabbrica modello, spesso ampia come la chiesa, da cui distava appena pochi passi, e l'energia idraulica guidava le macchine delle varie industrie situate al primo piano» (24). Talvolta i monaci ricevevano in dono depositi di minerale di ferro, quasi sempre con le forge che servivano per estrarre il ferro, talaltra acquistavano depositi e forge. Sebbene avessero necessità di ferro, col tempo i monasteri cistercensi avrebbero cominciato a vendere le eccedenze di questo minerale; addirittura, dalla metà del Duecento fino a tutto il Seicento i cistercensi furono i principali produttori di ferro della regione della Champagne. Sempre desiderosi di aumentare l'efficienza dei propri monasteri, i cistercensi usavano come fertilizzante le scorie prodotte dalle fornaci, giacché la loro concentrazione di fosfati le rendeva particolarmente utili a questo scopo (25).
Tali opere furono parte di un più ampio fenomeno di impegno tecnologico da parte dei monaci. Come osserva Gimpel, «Il Medioevo introdusse in Europa le macchine in una misura fino ad allora sconosciuta anche ad altre civiltà» (26). Secondo un'altra fonte, i monaci furono «gli esperti e non pagati consiglieri tecnici del terzo mondo del loro tempo, vale a dire l'Europa dopo l'invasione dei barbari (...). In effetti, che fosse la macinatura del sale, del piombo, del ferro, dell'allume o del gesso, o la metallurgia, l'escavazione del marmo, il tener bottega di coltellinaio o una fabbrica di vetro, o il forgiare piastre di metallo, note anche come "piastre del focolare", non vi era alcuna attività in cui i monaci non dessero prova di creatività e di uno spirito di ricerca fecondo. I benedettini sapevano incanalare il proprio lavoro verso la perfezione. La perizia coltivata nei monasteri si sarebbe diffusa per tutta l'Europa (27).
Le attività dei monaci spaziavano da curiosità interessanti al decisamente pratico. All'inizio dell'XI secolo, per esempio, un monaco di nome Eilmer volò con un aliante per più di 180 metri; la sua impresa fu ricordata per i successivi tre secoli (28). Secoli dopo, il bresciano Francesco Lana Terzi (1631-87), non un monaco ma un padre gesuita, proseguì in modo più sistematico lo studio del volo, guadagnandosi l'onore di essere chiamato il padre dell'aviazione. Il suo libro «Prodromo alla arte maestra», del 1670, fu il primo a descrivere la geometria e la fisica di un vascello volante. (29)
I monaci annoverarono anche abili orologiai. Il primo orologio di cui abbiamo notizia fu costruito dal futuro Papa Silvestro II per la città tedesca di Magdeburgo intorno all'anno 996. Orologi molto più sofisticati furono fabbricati in seguito da altri monaci. Nel Trecento un monaco di Glastonbury, Peter Lightfoot, costruì uno degli orologi più antichi ancora esistenti, che oggi è conservato, in eccellente stato, nel Museo della Scienza di Londra.
Sempre nel Trecento, Riccardo di Wallingford, abate dell'abbazia benedettina di Saint Albans - nonché uno degli iniziatori della trigonometria occidentale - si distinse per il grande orologio astronomico che disegnò per quel monastero. Qualcuno ha osservato che un orologio che lo eguagliasse in finezza tecnologica non si sarebbe visto per almeno due secoli. Il magnifico orologio, una meraviglia del suo tempo, non è sopravvissuto, distrutto, forse, durante le confische di monasteri effettuate nel Cinquecento per volontà di Enrico VIII. Tuttavia, gli appunti di Richard sul disegno dell'orologio hanno permesso agli studiosi di riprodurne un modello e persino una ricostruzione a grandezza naturale. Oltre a registrare il passare del tempo, l'orologio poteva prevedere con accuratezza le eclissi lunari.
Gli archeologi stanno ancora scoprendo l'estensione delle competenze e dell'abilità tecnologica dei benedettini. Nei tardi anni Novanta del Novecento, l'archeometallurgo Gerry McDonnell dell'Università di Bradford, in Inghilterra, ha scoperto le prove, vicino all'abbazia di Rievaulx, nello Yorkshire settentrionale, di un grado di raffinatezza tecnologica che va nella direzione delle grandi macchine della Rivoluzione industriale del Settecento. (L'abbazia di Rievaulx fu uno dei monasteri che Enrico VIII fece chiudere negli anni Trenta del Cinquecento nell'ambito del suo piano di confisca dei beni della Chiesa). Esplorando i frammenti di Rievaulx e Laskill (sede decentrata a circa sessanta chilometri dal monastero), McDonnell ha scoperto che i monaci avevano costruito una fornace per estrarre ferro dal minerale di ferro.
McDonnell è certo che i monaci fossero vicinissimi a costruire fornaci per la produzione, su larga scala, di ferro battuto - forse l'ingrediente chiave che inaugurò l'era industriale - e che la fornace di Laskill fosse servita da prototipo. «Gli elementi chiave sono che ogni anno si teneva un raduno di abati e che i cistercensi avevano i mezzi per far circolare da un capo all'altro dell'Europa i progressi tecnologici», ha dichiarato McDonnell. «La disgregazione dei monasteri spezzò questa rete di "trasferimento di tecnologia"». I monaci «avevano il potenziale per passare ad altiforni che non producessero nient'altro che ferro battuto. Erano pronti per farlo su grande scala. Spezzando quel monopolio virtuale, Enrico VIII ne spezzò il potenziale» (30).
Sembra insomma che fu solo la soppressione dei monasteri per volere di un re avido a impedire ai monaci di inaugurare l'era industriale e dare così inizio all'esplosione economica e demografica, nonché all'innalzamento dell'aspettativa di vita. Perché ciò avvenisse dovettero passare due secoli e mezzo.
Opere di carità
Esamineremo nel dettaglio in un altro capitolo le opere caritatevoli compiute dalla Chiesa. [...]
Questi esempi costituiscono solo una piccola parte delle premure che i monaci nutrivano per le persone che abitavano o si trovavano a passare nei dintorni delle loro dimore: a loro si deve anche la costruzione o la riparazione di ponti, strade e altri elementi che formavano le infrastrutture dell'età medievale.
Il contributo dei monaci più familiare alla maggior parte di noi è la copiatura dei codici, sia quelli sacri sia quelli dell'antichità pagana. A questo compito e a quelli ad esso legati veniva accordato un onore speciale.
La parola scritta
Per quanto onorato, il lavoro dei copisti era difficile e impegnativo. Su un codice monastico sono annotate queste parole: «Colui che non sa scrivere immagina che ciò non sia una fatica, ma sebbene soltanto tre dita tengano la penna, è il corpo intero a stancarsi». I monaci si trovavano spesso a lavorare nel freddo più inclemente. Un monaco copista, implorando la nostra simpatia mentre completava una copia del commentario di san Girolamo al «Libro di Daniele», scrisse: «Buoni lettori che usate quest'opera, vi prego, non dimenticate colui che la copiò: era un povero fratello di nome Luigi, che, mentre trascriveva questo volume, portato da un paese straniero, sopportò il freddo e fu obbligato a portare a termine di notte quel che non era capace di scrivere alla luce del giorno. Ma Tu, Signore, concedi, ti prego, piena ricompensa alle sue fatiche» (35).
Nel VI secolo un senatore romano in pensione [senatore dell'Impero Romano d'Oriente; NdT], di nome Cassiodoro, ebbe una precoce visione del ruolo culturale che avrebbe avuto il monastero. Intorno alla metà del secolo, Cassiodoro fondò nell'odierna Calabria il monastero di Vivarium e lo fornì di una bella biblioteca - la sola biblioteca del VI secolo che gli studiosi conoscano anche solo per sentito dire - ponendo in primo piano l'importanza della copiatura dei codici. Alcuni importanti codici cristiani trascritti a Vivarium sembra siano giunti sin nella Biblioteca Lateranense e nelle mani dei papi (36).
Sorprende, però, che non sia a Vivarium, ma ad altre biblioteche e ad altri «scriptoria» monastici che dobbiamo la sopravvivenza della letteratura latina antica nella sua quasi totalità. Quando non furono salvate e trascritte dai monaci, le opere dell'antichità latina furono conservate dalle biblioteche e dalle scuole associate alle grandi cattedrali del Medioevo (37). Così, anche quando non dava un contributo originale suo proprio, la Chiesa conservava libri e documenti che si sarebbero rivelati di importanza cruciale per la civiltà che avrebbe salvato.
La Chiesa, in effetti, curò, preservò, studiò e insegnò le opere degli antichi, che altrimenti sarebbero andate perdute.
Alcuni monasteri furono conosciuti per la loro perizia in particolari rami del sapere. Così, per esempio, i monaci di San Benigno, a Digione, impartivano lezioni di medicina; il monastero di San Gallo, nell'odierna Svizzera, aveva una scuola di pittura e incisione, e in certi monasteri tedeschi si poteva assistere a lezioni di greco antico, ebraico e arabo (42).
Spesso i monaci arricchivano la propria istruzione frequentando una o più di una delle scuole monastiche fondate durante la rinascita carolingia e oltre.
L'ammirazione che la civiltà occidentale nutre per la parola scritta e per i classici viene dalla Chiesa Cattolica, che durante le invasioni barbariche preservò l'una e gli altri.
Come i monaci salvarono la civiltà
tratto da: Thomas E. WOODS, Come la Chiesa Cattolica ha costruito la civiltà occidentale, Cantagalli, Siena 2007, p. 33s.