martedì 8 aprile 2014

Soldatesse o madri?

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Dove sono le donne?
Perché punire la madre?

Come scrisse Enzo Biagi: “Le grandi verità, i grandi principi, alla fine, sono quelli che ci ha insegnato nostra madre da bambini”.





Conosco due giovani donne, quasi della stessa età.

La prima è una dipendente statale, chiusa nella sua aderente divisa militare, addestrata all’ obbedire e combattere, a strisciare nei percorsi di guerra, a smontare e rimontare in pochi secondi il suo fucile d’assalto, ad affrontare con decisione nipponica il corpo a corpo, a sparare con precisione, in una parola: ad uccidere. Per questo lo Stato le riconosce uno stipendio e la affida al Parolisi di turno.

L’altra è una madre. Una donna che è sveglia prima dell’alba perché il suo cucciolo reclama la pappa. Un cucciolo (o una cucciola) di pochi mesi, ma già consapevole dei proprii diritti. Lei offre il seno a quella creatura che per nove mesi ha lasciato crescere dentro di lei, proteggendola in ogni istante da ogni scossone, da ogni grido, da ogni pianto. Poi, bella o brutta, ricca o povera, colta o analfabeta, si è distesa su un lettino e ha lacerato la sua carne più sensibile per generare la vita.

E quello è solo l’inizio di una storia d’amore. Un amore continuo, presente, esigente, che dura giorni, mesi, anni, finchè il nuovo cittadino o la nuova cittadina che la madre offre allo Stato, non sarà in grado di affrontare la vita.
Ora accade che, se in questi anni di dedizione, in questa madre nascesse il desiderio di un cappotto nuovo, non le resterebbe che chiedere soldi al marito o all’amante o…

Per un’aspirante assassina lo stipendio c’è. Per una madre, no.

Pasquale Squitieri
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