venerdì 25 novembre 2011

Il Mondialismo - Il Nuovo Ordine Mondiale


I nemici di Dio e del popolo.

Istituito nel 1954 presso castello olandese di Bilderberg, questo esclusivissimo club si ritrova segretamente ogni anno per decidere del futuro dell’umanità. ...

... Si tratta dei centrotrenta uomini più potenti e influenti del mondo riuniti in una stessa stanza, che guardie armate tengono lontana da occhi indiscreti. In più di cinquant’anni d’incontri è sempre stata vietata la presenza della stampa, non sono mai state rilasciate dichiarazioni sulle conclusioni degli intervenuti, e non è mai stato svelato l’ordine del giorno. A prescindere da cosa realmente accada in quel segreto consesso, il solo fatto di come si svolga e di chi lo componga lascia alquanto perplessi, e non risponde certo ad una logica di democrazia e trasparenza. Fino all’ultimo momento resta occulto il luogo degli incontri e si interviene solo su espresso invito, che non può essere pubblicamente divulgato, pena la mancata partecipazione.


Per comprendere meglio di cosa si tratti è sufficiente leggere quanto sul tema ha scritto William Vincent Shannon, non esattamente un paranoico complottista, ma un prestigioso giornalista, redattore del New York Times e ambasciatore degli Stati Uniti in Irlanda durante la Presidenza Carter (1977-1981): «I membri del Bilderberg stanno costruendo l’era del post-nazionalismo: quando non avremo più paesi, ma piuttosto regioni della terra circondate da valori universali. Sarebbe a dire, un’economia globale; un governo mondiale (selezionato piuttosto che eletto) e una religione universale. Per essere sicuri di raggiungere questi obiettivi, i Bilderbergers si concentrano su di un “approccio maggiormente tecnico” e su di una minore consapevolezza da parte del pubblico in generale».


Del resto, lo stesso fondatore del Bilderberg Group, il principe Bernardo d’Olanda, sul punto era stato chiaro: «E’ difficile rieducare gente allevata al nazionalismo all’idea di rinunciare a parte della loro egemonia a favore di un potere sopranazionale». Onesto, a suo modo, è stato pure David Rockfeller – altro Bilderberg di razza –, il quale ha lasciato scritto nelle sue Memorie (2002): «Alcuni credono che facciamo parte di una cabala segreta che manovra contro gli interessi degli Stati Uniti, definendo me e la mia famiglia come “internazionalisti”, e di cospirare con altri nel mondo per costruire una più integrata struttura politico-economica globale, un nuovo mondo, se volete. Se questa è l’accusa, mi dichiaro colpevole, e sono orgoglioso di esserlo».


Fratellanza massonica
Sembra confermata ancora una volta la saggia conclusione del Barone Denis Winston Healey, ex Ministro britannico della Difesa (1964-1970) e delle Finanze (1974-1979): «Quel che accade nel mondo non avviene per caso; si tratta di eventi fatti succedere, sia che abbiano a che fare con questioni nazionali o commerciali, e la maggioranza di questi eventi sono inscenati da quelli che maneggiano la finanza».
Per chi volesse saperne di più, consiglio la lettura di un ottimo testo intitolato The true story of the Bilderberg Group, di Daniel Estulin, un libro di 340 pagine – corredato da una preziosa documentazione – che raccoglie i risultati di una indagine durata anni sull’intoccabile gruppo elitario di cui la stampa ufficiale appare sempre reticente.



Nuovo Ordine Mondiale
La seconda prova dell’indole mondialista del nostro esimio professor Monti, risiede nel fatto che egli faccia anche parte della Trilateral Commission. Anzi, per essere precisi, ricopre la carica di Presidente per l’Europa nel triennio 2010-2012. Chi ha l’avventura di accedere al sito ufficiale di quella istituzione (www.trilateral.org), troverà, infatti, una lettera di presentazione sottoscritta da Mario Monti, quale European Chair, da Joseph S. Nye, Jr., quale North American Chair, e da Yotaro Kobayashi, quale Pacific Asian Chair, con tanto di fotografia.


Ufficialmente si tratta di un think-tank fondato nel 1973 da David Rockfeller con forte impronta mondialista «una specie di massoneria ultraliberista statunitense, europea e nipponica ispirata da David Rockefeller e Henry Kissinger». 

Nel 1979 l’ex governatore repubblicano Barry Goldwater la descriveva come «un abile e coordinato sforzo per prendere il controllo e consolidare i quattro centri di potere: politico, monetario, intellettuale ed ecclesiastico grazie alla creazione di una potenza economica mondiale superiore ai governi politici degli Stati coinvolti». Lo scrittore francese Jacques Bordiot, sosteneva, inoltre, che per far parte della Trilateral, era necessario che i candidati fossero «giudicati in grado di comprendere il grande disegno mondiale dell’organizzazione e di lavorare utilmente alla sua realizzazione», e precisava che il vero obiettivo della Trilaterale fosse quello «di esercitare una pressione politica concertata sui governi delle nazioni industrializzate, per portarle a sottomettersi alla loro strategia globale».


Allenaza massoneria e sinagoga
Il canadese Gilbert Larochelle, professore di filosofia politica presso l’Università del Quebec, nel suo interessante saggio L'imaginaire technocratique, pubblicato a Montreal nel 1990, ha definito, più semplicemente, la Trilateral come una privilegiata elite tecnocratica: «La cittadella trilaterale è un luogo protetto dove la téchne è legge e dove sentinelle, dalle torri di guardia, vegliano e sorvegliano. Ricorrere alla competenza non è affatto un lusso, ma offre la possibilità di mettere la società di fronte a se stessa. Il maggiore benessere deriva solo dai migliori che, nella loro ispirata superiorità, elaborano criteri per poi inviarli verso il basso». Il connotato resta sempre il medesimo: poca democrazia e poca trasparenza.


Piccolo inciso legato all’attualità della cronaca politica: un altro italiano membro della Trilateral è l’onorevole Enrico Letta, al centro di una polemica per uno strano biglietto inviato al consociato Professor Monti.
La terza prova della visione mondialista di Super Mario sta nel fatto di essere un uomo Goldman Sachs, la celebre banca d’affari fondata nel 1869 da Marcus Goldman, un tedesco di origini ebraiche immigrato negli Stati Uniti, e dal genero Samuel Sachs. Per comprendere la reale natura di tale istituzione non occorre addentrarsi nei siti complottisti. E’ sufficiente leggere un autorevole quotidiano come Le Monde del 16 novembre 2011 (proprio il giorno dell’investitura di Monti a Capo del Governo), ed in particolare l’articolo del giornalista Marc Roche, corrispondente da Londra, dal titolo sintomatico: La “franc-maçonnerie” européenne de Goldman Sachs. Si tratta di una vera e propria requisitoria contro la potente banca d’affari, dall’incipit particolarmente duro: «Ils sont sérieux et compétents, pesant le pour et le contre, étudiant les dossiers à fond avant de se prononcer. L’économie est leur péché mignon. Ils ne se découvrent que très rarement, ces fils de la Lumière entrés dans le Temple après un long et tatillon processus de recrutement. C’est à la fois un groupe de pression, une amicale de collecte d’informations, un réseau d’aide mutuelle. Ce sont les compagnons, maîtres et grands maîtres amenés à “répandre dans l’univers la vérité acquise en loge”». «Confratelli, maestri e gran maestri chiamati a “spandere nell’universo la verità acquisita nella loggia”».

L’articolo merita la lettura.

P.za Montecitorio e Menorah ebraica
Per Le Monde, Goldman Sachs funziona come la massoneria, in cui ex dirigenti, consiglieri ma anche trader della banca d'affari americana si ritrovano oggi al potere nei Paesi europei chiave per la gestione della crisi finanziaria. In Europa Goldman Sachs si è fatta fautrice di una forma di “capitalismo delle relazioni”, e punta a piazzare i suoi uomini senza mai lasciar cadere la maschera. Può sembrare esagerato il giudizio di Le Monde, ma forse non lo è se si pensa ad un’altra singolare coincidenza. Si tratta del fatto che l’omologo greco di Mario Monti, il professor Lucas Papademos (anch’egli studi statunitensi), già vice presidente della Banca Centrale Europea (dal 2002 al 2010), ed ora tecnocrate mandato a commissariare il governo ellenico, è un altro uomo Goldman Sachs. Oltre che – guarda caso – membro anche lui della Trilateral Commission. Il panorama si fa ancora più inquietante se si considera che l’uomo Goldman Sachs più potente in Europa è Mario Draghi, l’attuale Presidente della Banca Centrale Europea.


Nonostante tutte queste sinistre coincidenze, faccio ancora fatica a cedere alle suggestioni complottiste. Confesso, però, che quando ho letto sul quotidiano economico Milano Finanza che è stata proprio Goldman Sachs a innescare l’ondata di vendite di Btp il 10 novembre scorso, un pensiero cattivo mi ha attraversato la mente. Sarà forse perché il giorno prima, 9 novembre, Mario Monti è stato nominato senatore a vita dal Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano. Una settimana dopo sarebbe diventato Premier sull’onda degli spread. Coincidenze.


Avv. Gianfranco Amato


La triste realta' della falsa democrazia !



 Come vendere l'italia ai banchieri!


venerdì 18 novembre 2011

Il Femminismo laicista - Parte 3za

 Femminismo laicista - Terza Parte
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La gelosia verso le ragazze belle e attraenti, infatti, rappresenta uno dei capisaldi di questo minaccioso movimento. Un punto che dovrebbe essere ricordato, per esempio, nella presunta discriminazione economica ai danni delle donne: la straordinaria mobilità verso l’alto, e allo stesso modo i redditi, garantita alle ragazze particolarmente graziose. Le femministe potrebbero sostenere che le modelle sono sfruttate, ma se consideriamo le paghe enormi di cui le modelle possono godere- tanto quanto il loro accesso a una vita affascinante – e le compariamo col loro costo opportunità precedente in altre occupazioni come cameriera o dattilografa, l’accusa di sfruttamento è davvero risibile. I modelli maschili, i cui redditi e le cui opportunità sono estremamente più bassi di quelli delle donne, potrebbero benissimo invidiare la posizione privilegiata di queste ultime! Inoltre, il potenziale in mobilità verso l’alto per le ragazze belle di ceto basso è enorme, infinitamente più di quello degli uomini dello stesso ceto: potremmo citare Bobo Rockefeller e Gregg Sherwood Dodge (un’ex pin-up che ha sposato il rampollo multimilionario della famiglia Dodge) come esempi manifesti. Ma questi fatti, lontani dal costituire un valido argomento, rendono ancora più furiose le liberazioniste, poichè una delle loro reali rimostranze è verso quelle ragazze più attraenti che in virtù della loro bellezza hanno avuto più successo nell’inevitabile competizione per gli uomini – una competizione che deve esistere qualsiasi sia la forma di governo o di società (ammesso – ovviamente – che essa rimanga eterosessuale).
Donne come “oggetti sessuali”? Certo che sono oggetti sessuali, e sia lodato il Signore che sempre lo saranno (come gli uomini, certamente, sono oggetti sessuali per le donne). Per quanto concerne i fischi, è impossibile che qualsiasi relazione significativa venga stabilita per strada o guardando i cartelloni pubblicitari e così, in questi ruoli, le donne rimangono esclusivamente degli oggetti sessuali. Quando si sviluppa un rapporto più profondo fra
uomini e donne, questi diventano più che oggetti sessuali fra loro; diventano anche, se tutto va bene, oggetti d’amore. Sembrerebbe persino banale ricordare questo, ma nel clima intellettuale di oggi sempre più degenerato nessuna semplice verità può più essere data per scontata. Poniamo come contrasto allo stridulo movimento femminista l’incantevole lettera nel New York Sunday Times (19 Marzo) di Susan L. Peck, che commenta l’articolo della Brownmiller. Dopo aver affermato che lei, per prima, gradisce l’ammirazione maschile, la signora Peck specifica che “a qualcuno questo potrebbe suonare antiquato, ma non covo un folle, vendicativo desiderio di vedere stirare il mio già responsabile e lavorativo marito”. Dopo aver screditato l’incapacità femminile all’adattamento esibita nel “movimento di liberazione”, la signorina Peck conclude: “Io, per prima, adoro gli uomini e preferisco vederne uno che esserlo!”. Urrah e, se tutto va bene, la signora Peck parla per la maggioranza silenziosa delle donne americane.



Per quanto concerne le femministe, forse potremmo iniziare a prendere più seriamente le analogie costantemente ripetute col movimento nero. I neri, infatti, si sono spostati dall’integrazione al black power, ma la logica del black power è semplicemente e completamente nazionalismo nero – una nazione nera indipendente. Se le nostre
Nuove Femministe desiderano abbandonare l’integrazionismo maschio-femmina a favore della liberazione, allora questo implica logicamente il Female Power, in breve, il nazionalismo femminile. Dobbiamo assegnare a queste bisbetiche qualche terra vergine, forse le Black Hills, forse l’Arizona? Si, lasciamole istituire la loro Repubblica Democratica Popolare delle Amazzoni e bandirne l’ingresso. L’infezione della loro ideologia e dei loro atteggiamenti malati sarebbe così isolata e rimossa dal più esteso corpo sociale e il resto di noi, impegnato nella buona eterossessualità all’antica, potrebbe badare ai fatti suoi indisturbato. E’ ora che si dia retta al risonante monito di William Butler Yeats:
“Abbasso il fanatico, abbasso il clown Giù, giù, buttateli giù” e che venga fatto echeggiare l’allegro grido dell’anziano francese nella famosa facezia. Mentre, in Francia, una
militante parlava ad una riunione sulla liberazione delle donne, affermando, “C’è solo una differenza molto piccola fra uomini e donne”, l’attempato signore balzò ai suoi piedi, gridando: “Vive la petite difference!”(2)
Note
1) Ludwig von Mises ha scritto: “Man mano che l’idea del contratto è entrata nel diritto matrimoniale, essa ha infranto il dominio del maschio e ha fatto della moglie una compagna (partner) con gli stessi diritti del marito.



Da un rapporto unilaterale basato sulla forza, il matrimonio si trasforma così in un mutuo accordo…. Ai nostri giorni la posizione della donna differisce dalla posizione dell’uomo solo in quanto differiscono i loro specifici modi di guadagnarsi la vita….. La condizione della donna è migliorata a misura che è indietreggiato il principio della violenza, e con l’avanzamento progressivo dell’idea di contratto in altri ambiti del diritto di proprietà si sono necessariamente trasformate le relazioni patrimoniali tra gli sposi. La moglie si affrancò per la prima volta dal potere del marito solo quando ottenne diritti legali sulle ricchezze portate da lei nel matrimonio e su quelle acquisite durante il matrimonio…. Che il matrimonio unisca un solo uomo e una sola donna, che esso possa essere contratto solo se c’è la libera volontà delle due parti….che i diritti della moglie e quelli del marito siano essenzialmente gli stessi: tutti questi principi discendono dall’approccio contrattuale al problema della vita
matrimoniale” Ludwig von Mises, Socialismo (Rusconi, 1990), pg.120-121
2) Il Professor Leonard Liggio ha portato alla mia attenzione due punti estremamente importanti al fine di spiegare il perchè il movimento femminista sia emerso in questo momento dalla New Left. Il primo è che le donne della New Left erano abituate ad andare a letto con gli uomini all’interno del movimento e a scoprire con grande stupore e sgomento che non venivano trattate diversamente da meri “oggetti sessuali”. In sostanza, dopo
aver mancato di rispetto nei confronti di loro stesse nel non comportarsi diversamente da degli oggetti sessuali, queste donne della New Left hanno scoperto con grande sorpresa che gli uomini le trattavano precisamente per quello che esse si consideravano! Invece di capire che era il loro comportamento promiscuo alla radice del problema, attaccarono accanitamente gli uomini e così nacque il movimento di liberazione delle donne.
Il secondo punto è che quasi tutte le agitazioni non provengono dalle classi proletarie, ma dalle mogli della classe media, che si scoprono legate alla casa, e allontanate da soddisfacenti lavori esterni, dalle richieste di figli e dei lavori domestici. Egli nota che si potrebbe prontamente porre rimedio a questa situazione abolendo le restrizioni all’immigrazione, cosìcche istitutrici e domestiche economiche e di alta qualità sarebbero una volta ancora disponibili a prezzi che le mogli delle classe media potrebbero permettersi. E questa sarebbe anche una soluzione libertaria.
[Articolo originariamente apparso nel The Individualist, Maggio 1970;
Traduzione di Tiziano Buzzacchera]





Giovanna JACOB
No Medio Evo? No femminismo
tratto da: PepeOnLine.it.

Dai tempi di Voltaire, gli storici dipingono il Medioevo come un'epoca oscurantista, arretrata, sottosviluppata, superstiziosa e soprattutto misogina. Nella ricostruzioni letterarie sul Medioevo si narrano storie cupe di donne “senz'anima” costrette a concedersi la prima notte di nozze, prima che al legittimo sposo, al signore feudale (il famigerato “ius primae noctis”). Ebbene il 12 settembre 2007 su Repubblica è apparso un titolo-choc: “Medioevo, prove di femminismo. Così cominciò il potere rosa”. Nell'articolo si parla di uno studio di Sue Niebrzydowski, docente di storia alla Bangor University del Galles, sulla condizione della donna nei secoli compresi fra il dodicesimo e il quindicesimo. Dopo avere esaminato una gran mole di documenti, questa storica è giunta alla conclusione che il Medioevo è stato “un'epoca d'oro” per le donne. Gli storici “fedeli alla linea” illuminista sono immediatamente insorti, accusando Sue Niebrzydowski di fare del “revisionismo” finalizzato ad un “uso politico della storia” (quale uso, poi, non è dato sapere). Se oggi cerchi di dire la verita' sul Medioevo, vieni immediatamente paragonato a quegli storici filo-nazisti che negano la realta' storica dello sterminio degli ebrei. Analogamente, se osi dire ad alta voce quello che tutti i paleontologi sanno e non dicono, e cioè che non ci sono prove a sostegno della teoria darwiniana, vieni accusato di essere un integralista cristiano che vuole mettere le favole della Bibbia al posto della scienza. La leggenda del Medioevo-oscurantista e la teoria darwiniana sono i due dogmi di fede del laicismo moderno.

La favola dello “ius primae noctis”

Nel corso di un convegno tenuto di recente nel Regno Unito, l'eretica storica inglese ha citato numerosi esempi di donne che, in pieno Medioevo, vivevano in una condizione di assoluta parità con gli uomini. Secondo il celebre medievalista “fedele alla linea” Jacques Le Goff le donne portate ad esempio da questa sua collega “molto presuntuosa e soprattutto molto ignorante” (Repubblica, 12.9.2007) sarebbero soltanto delle sparute eccezioni fra milioni di donne umiliate ed oppresse nei “secoli bui”. Solo eccezioni? Secondo Régine Pernoud no. Circa trenta anni fa questa storica francese, oggi scomparsa, ha sostenuto le stesse tesi che oggi sostiene Sue Niebrzydowski nei libri Medioevo un secolare pregiudizio (edito in Italia da Bompiani nel 1983) e La donna al tempo delle cattedrali, (edito in Italia da Rizzoli nel 1982). Andiamo a rileggerli.

In primo luogo, la Pernoud si chiede come possa esserci ancora qualcuno che crede alla favola dello “ius primae noctis”, invenzione di qualche romanziere d'appendice. Quanto all'idea che le donne nel Medioevo fossero considerate creature senz'anima, la Pernoud taglia corto: “Strano che i primi martiri che sono stati onorati come santi, siano delle donne e non degli uomini: sant'Agnese, santa Cecilia, sant'Agata e tante altre. Triste davvero che santa Blandina o santa Genoveffa fossero prive di un'anima immortale! Sorprendente che una delle più antiche pitture delle catacombe (nel cimitero di Priscilla) raffigurasse precisamente la Vergine con Bambino, ben designata dalla stella a dal profeta Isaia” (Medioevo un secolare pregiudizio).

Donne al comando

Dopo avere fatto piazza pulita di queste fandonie, la Pernoud si sofferma sulle grandi regine francesi del Basso Medioevo: “Non è sorprendente che ai tempi feudali la regina fosse incoronata come il re, a Reims generalmente (a Sens nel caso di Margherita di Provenza), ma sempre dalle mani dell'arcivescovo di Reims? In altre parole, si attribuiva all'incoronazione della regina altrettanto valore che a quello del re. (…) Eleonora d'Aquitania e Bianca di Castiglia dominano realmente il loro secolo, esercitano un potere incontestato nel caso in cui il re sia assente, malato o morto, hanno la loro cancelleria personale, il loro campo di attività personale” (op. cit.). Non bisogna dimenticare che fu una regina, Isabella di Castiglia, a patrocinare l'impresa che segna simbolicamente l'inizio dell'epoca moderna: la scoperta dell'America da parte di Cristoforo Colombo.

Oltre a queste grandi regine, la Pernoud cita un numero impressionante di nobildonne e signore feudali vissute fra il quinto e il quindicesimo secolo dopo Cristo. Di esse qui ricordiamo soltanto la celebre Matilda di Canossa, che nel 1115 osò ribellarsi all'imperatore tedesco Federico Barbarossa, nemico giurato dei comuni italiani, donando i suoi feudi toscani ed emiliani al papa. Le donne avevano posizioni di potere anche all'interno della Chiesa: “Alcune badesse agivano come autentici signori feudali il cui potere era rispettato al pari di quello di tutti gli altri signori, alcune donne indossavano la croce al pari dei vescovi; sovente amministravano vasti territori che includevano villaggi, parrocchie…” (op. cit.). Le Goff ribatte: è vero, certe badesse erano potenti “ma non dobbiamo dimenticare che i conventi femminili erano sempre sottoposti a quelli maschili” (Repubblica, 12.9.2007). Ciò non è vero. Non solo non tutti i conventi femminili erano sottoposti a quelli maschili, ma successe anche il contrario: “ci si domandi che cosa ne direbbe il nostro XX secolo di conventi maschili posti sotto la direzione di una donna. (…) E tuttavia è proprio ciò che si verificò, con pieno successo e senza causare nella Chiesa il sia pure minimo scandalo, ad opera di Roberto di Abrissel, a Fontevrault, nei primi anni del XII secolo” (op. cit.). Egli pose, infatti, i monaci del suo ordine sotto la direzione della badessa dell'attiguo convento femminile.

Se alcune badesse avevano più potere degli abati, invece le donne sposate di qualunque categoria sociale erano indipendenti dai mariti anche relativamente al diritto di proprietà: “Negli atti stipulati è molto frequente il caso di una donna sposata che agisce per conto suo, per esempio avviando un negozio o un commercio, senza essere tenuta a produrre un'autorizzazione maritale” (op. cit.). Anche nelle campagne, fra i cosiddetti “servi della gleba”, c'erano donne che compravano o vendevano piccole proprietà: in un atto dell'XI secolo si parla di “due serve, di nome Auberede e Romelde, che alla fine dell'XI secolo (tra il 1089 e il 1095) acquistavano il proprio affrancamento in cambio di una casa che possedevano a Beauvais, sulla piazza del mercato” (op. cit.).

Donne che lavorano e donne che votano

Le prime femministe, apparse fra la fine del diciannovesimo e l'inizio del ventesimo secolo, si battevano per il riconoscimento di tre diritti fondamentali alle donne: il diritto all'istruzione superiore, il diritto di accedere a tutte le professioni e infine il diritto di voto. Ebbene le donne del Medioevo non avevano avuto bisogno di fare delle battaglie femministe per accedere al mondo del lavoro: “le iscrizioni della taglia (oggi diremmo le imposte di registro), ovunque ci siano state conservate, come nel caso della Parigi di fine XIII secolo, ci mostrano una folla di donne esercitanti i più vari mestieri: maestra di scuola, medico, farmacista, gessaiuola, tingitrice, copista, miniaturista, rilegatrice di libri e così via” (op. cit.). Notare: c'erano anche delle miniaturiste, ovvero delle artiste (un libro di miniature porta ad esempio questa iscrizione: “Omnis pictura et floratura istius libri depicta ac florata est per me Margaretam Scheiffartz” - “Ogni immagine e decorazione di questo libro è stata dipinta e disegnata da me, Margherita Scheiffartz”).

E adesso tenetevi forte: nel Medioevo non solo esistevano delle forme di democrazia diretta a livello locale, ma votavano sia gli uomini che le donne. Dall'insieme delle raccolte consuetudinarie, degli statuti delle città, ma anche dall'enorme massa degli atti notarili, dei documenti giudiziari, o ancora dalle inchieste ordinate da san Luigi “balza fuori un quadro che per noi presenta più d'un tratto sorprendente, dato che, per esempio, vediamo le donne votare alla pari degli uomini nelle assemblee cittadine o in quelle dei comuni rurali” (op. cit.). Non sorprende affatto che nel Medioevo esistessero alcune forme di democrazia diretta. Si attribuisce a Carlo Magno, imperatore cattolico, il motto: “Vox populi, vox Dei”. In una delle numerose lettere che inviava ai papi e ai re nel periodo drammatico della cattivita' avignonese, santa Caterina da Siena scrisse: “Il potere non è assoluto, è prestato da Dio. O dal popolo”. Questa donna del popolo era ascoltata dai più grandi potenti del suo tempo. Sarebbe possibile una cosa simile oggi? Un secolo dopo, durante la guerra dei cent'anni, una semplice ragazza di umili origini riusc? a convincere i regnanti di Francia a metterla a capo di un esercito di uomini. Si chiamava Giovanna d'Arco.

Donne che studiano

Jacques Le Goff afferma bellamente che “la prima letterata donna della storia” sarebbe apparsa solo nel quindicesimo secolo nella persona di Cristina di Pisano, “poetessa e filosofa, molto critica con la misoginia dei suoi tempi” (Repubblica, 12.9.2007). Anche questo è inesatto: le donne letterate pullulavano da molto prima del quindicesimo secolo. Tre soli esempi: Dhuoda (autrice fra il 841 e il 843 del primo trattato di educazione pubblicato in Francia), la badessa Rosvita (autrice di un manoscritto del X secolo contenente sei commedie, in prosa rimata, che influirono grandemente sullo sviluppo letterario dei paesi germanici) e la badessa Herrada di Landsberg (autrice del celebre Hortus Deliciarum, l'enciclopedia più nota del XII secolo).

I poeti del XII secolo hanno ripetutamente vantato le qualità intellettuali delle donne del loro ambiente; Baudri de Bourgueil, scrivendo l'epitaffio di una certa Costanza, dice che era sapiente come una sibilla e fa anche l'elogio di una certa Muriel, che ha fama di recitare versi con voce dolce e melodiosa” (La donna al tempo delle cattedrali).

I poeti medievali lodavano le qualità intellettuali e spirituali delle loro donne, oggi invece la televisione e il cinema celebrano il culto della donna oggetto. A parte questo, gia' nel 1883 lo studioso Karl Bartsch era giunto alla conclusione che “nel Medioevo le donne leggevano più degli uomini”. Forse non più degli uomini, ma certamente leggevano quanto loro. E quanto loro scrivevano: molti manoscritti portano la firma di copiste donne. In effetti “all'epoca feudale e nel Medioevo, le scuole monastiche istruiscono un po' dovunque ragazzini e ragazzine…” (op. cit.). Nei conventi femminili, da sempre luoghi di studio oltreché di preghiera, le donne avevano la possibilità di ricevere un'istruzione di livello universitario: ad esempio la religiosa Gertrude di Hefta “ci racconta, nel XIII secolo, come fosse felice di passare dal grado di ‘grammatica' a quello di ‘teologa', vale a dire che, dopo avere percorso il ciclo di studi preparatori, si apprestava a passare ad un ciclo superiore come si faceva all'università. (…) D'altra parte, constatiamo che le religiose di quel tempo… sono per lo più donne di grande cultura, donne che avrebbero potuto gareggiare per dottrina con i monaci più eruditi del tempo. La stessa Eloisa [la celebre donna amata da Abelardo - N.d.R.] sapeva, e insegnava alle sue monache, il greco e l'ebraico” (Medioevo un secolare pregiudizio).

Hildegarda: scienziata, musicista, filosofa

Fra i più grandi geni di tutto il Medioevo, accanto a santi dottori come Bernardo e Tommaso, troviamo Hildegarda di Bingen. Nata nel 1098 presso Magonza e morta nel 1179, questa sposa di Cristo non fu solo una grande intellettuale ma anche una grande musicista (i cd con le esecuzioni degli inni e delle sinfonie che ella scriveva per le sue monache ultimamente vanno a ruba nei negozi specializzati, come ha verificato chi scrive).

Come più tardi santa Caterina, Hildegarda trovava ascolto presso papi, re, imperatori: “O re”, scrisse a Federico Barbarossa riferendogli le parole che Dio le aveva rivelato in una visione, “se ti preme di vivere, ascoltami, o la mia spada ti trafiggerà”. Nelle sue tre opere principali ella descrive le visioni soprannaturali che aveva fin dall'età di tre anni: il Libro dei meriti della vita, il Libro delle opere divine (tradotto di recente per Mondadori Meridiani Classici dello Spirito) e infine lo Scivias (in italiano: “conosci”). Quest'ultima è un'opera monumentale in cui Hildegarda attraversa con uno sguardo unitario tutti gli ambiti del sapere del XII secolo, dalla teologia alla poesia fino alla musica e alla pittura (nelle miniature che accompagnano il testo ella illustra le sue visioni). “L'analisi della sua opera ha rivelato che aveva avuto prescienza della legge d'attrazione e dell'azione magnetica dei corpi, mentre le sue profezie indicanti astri immobili alla fine dei tempi sono sembrate ad alcuni scienziati l'annuncio della legge della degradazione dell'energia; nelle sue opere si è potuto discernere anche ciò che sarebbe stato oggetto di scoperte scientifiche cinquecento anni dopo la sua morte: il sole al centro del ‘firmamento’, la circolazione del sangue ecc.” (La donna al tempo delle cattedrali).

L'emarginazione della donna inizia con l'Umanesimo

Insomma, sembra proprio che questa Cristina di Pisano “molto critica con la misoginia dei suoi tempi” non sia stata affatto la prima donna letterata del Medioevo, come pretende Le Goff. Pure la “misoginia” è un tratto caratteristico non della cultura medievale bensì della cultura che stava emergendo proprio nel secolo di Cristina: l'Umanesimo. Qualunque studente del liceo classico sa che nella società greca e romana le donne avevano un ruolo del tutto marginale. La cultura classica non ha mai prodotto una grande letteratura d'amore (con l'eccezione della poesia di Saffo e delle riflessioni di Platone sull'eros, entrambi a sfondo omosessuale). Nella letteratura cortese si parla di cavalieri che venerano la donna amata come “suzeraine”, ovvero “regina” in lingua d'Oil. Ebbene gli autori classici insegnavano agli umanisti a non venerare più la donna ma lo Stato. In Francia anche le regine vere e proprie iniziano a contare sempre meno, fin quando “a partire dal XVII secolo, la regina scompare letteralmente di scena a vantaggio della favorita [l'amante del re - N.d.R.]. (…) E quando l'ultima regina di Francia, volle riprendere una particella di potere, ebbe di che pentirsene, infatti si chiamava Maria Antonietta (è solo giusto aggiungere che l'ultima favorita, la Du Barry, raggiungerà sul patibolo l'ultima regina)” (Medioevo un secolare pregiudizio).

Non si è mai notato a sufficienza come, nell'età moderna, l'affermazione dello Stato assoluto e l'esclusione della donna dalla vita intellettuale e politica abbiano viaggiato su binari paralleli. La Pernoud individua la causa efficiente di entrambi questi fenomeni nella riscoperta umanistica del diritto romano, che è “il diritto di coloro che vogliono affermare un'autorità statale centrale” e “il diritto del pater familias”. Conformandosi al diritto romano, le legislazioni dei paesi europei tenderanno a “confinare la donna in quello che è stato, in tutti i tempi, il suo campo privilegiato: la cura della casa e l'educazione dei figli, finché le sarà tolto anche questo, a norma di legge. Infatti, si noti bene, è con il codice napoleonico che la donna non è più padrona neppure dei propri beni e svolge in casa propria solo un ruolo subalterno” (op. cit.).

Al declino femminile diede un contributo fondamentale anche la Riforma protestante. Martin Lutero vietava alle donne di operare al di fuori dell'ambito delimitato dalle tre “K”: Kirche, Kinder, Küche (chiesa, bambini, cucina). Quelle che provavano ad infrangere questo divieto, finivano braccate come “streghe” (Lutero gettava benzina sul fuoco della superstizione anti-stregonesca). Nello stesso periodo il raffinato umanista Erasmo da Rotterdam, nel celeberrimo Elogio della pazzia, definiva la donna “un animale inetto e stolto”. Le prove di questa nuova temperie culturale misogina, durata fino alla fine del diciannovesimo secolo, sono troppo numerose per citarle in questa sede. Per fare un solo esempio, Giacomo Leopardi non si è vergognato di scrivere che la donna “dell'uomo al tutto da natura è minor” e che nelle sue “anguste fronti” la donna non può contenere gli stessi alti pensieri dell'uomo. “Che se più molli \ e più tenui le membra, essa la mente \ men capace e men forte anco riceve” (dal canto Aspasia). Mentre il poeta dell'era positivista per le donne non aveva che parole di disprezzo, invece il poeta dell'era cristiana per le donne non aveva che parole di ammirazione: “Tanto gentile e tanto onesta pare \ la donna mia quand'ella altrui saluta, \ ch'ogne lingua deven tremando muta \ e li occhi no l'ardiscon di guardare (…) e par che sia cosa venuta \ da cielo in terra a miracol mostrare” (Dante nella Vita Nova). Che abisso separa Aspasia da Beatrice! Negli occhi di Aspasia Leopardi aveva visto il riflesso dell'infinito, una promessa di felicità eterna. Ma quando si era avvicinato alla donna, il riflesso era scomparso: allora si convinse che l'infinito era un inganno, che l'amore era una illusione, che la donna era solo fonte di delusione. Molti secoli prima Dante vide la stessa promessa negli occhi di Beatrice. Ma Beatrice non lo deluse affatto. Nell'ultima cantica della Divina Commedia è Beatrice a condurre Dante fino al cospetto di Dio. Dante ci insegna che non si può adorare la donna senza adorare Dio. L'odio di Leopardi per la donna nasce proprio dalla sua mancanza di fede in quel Dio che solo può compiere la promessa contenuta negli occhi della donna.

Insomma, anche Leopardi ci insegna qualcosa di importante: che il declino della fede cristiana è causa del declino femminile e della misoginia affermatasi dopo la fine del Medioevo. Quando tutti gli uomini credevano in Dio, e nella Madre di Dio, rispettavano le donne. Da quando Dio è stato dato per morto, è morta pure la dignità della donna. Ridotta oggi ad essere carne da pornografia.


I frutti (amari) del femminismo laicista

Non bisognerebbe mai parlare di “femminismo” al singolare. Il femminismo cattolico di Edith Stein (vedi Pepe-documenti) è molto diverso dal femminismo laico o addirittura laicista degli ultimi quaranta anni. Sia il femminismo laico che quello cattolico rivendicano alle donne il diritto di avere un ruolo nel mondo, al di fuori delle mura domestiche. La differenza irriducibile fra il femminismo cattolico e quello laico, è che il secondo mira alla completa cancellazione di ogni distinzione fra un ruolo maschile e un ruolo femminile. Sessant’anni fa Simone de Beauvoir chiedeva che alle donne fosse impedito con la forza di dedicare più tempo alla cura dei figli che alla carriera. Molte femministe portano avanti ancora oggi questa crociata.
Nel libro La strada degli errori. Il pensiero femminista al bivio (Feltrinelli 2004) la femminista storica Elisabeth Badinter torna a negare l’esistenza di un “istinto materno” e se la prende con quelle donne “retrograde” che oggi tornano ad allattare i loro neonati al seno, rinunciando cos? ai vantaggi dell’allattamento artificiale. Questo ultimo, molto in voga negli anni Settanta e Ottanta, consente alla donne di passare più tempo fuori casa. Nel libro No kid. Quaranta ragioni per non avere figli (di prossima uscita per Bompiani) Corinne Maier, madre di due bambini, sostiene che i figli impediscono alla donna di vivere una vita piena ed appagante. Comunque non tutte le femministe la pensano come la Meier. La maggior parte delle femministe “storiche” non consigliano alle donne di non fare figli ma casomai di farne pochi per avere più tempo da dedicare alla carriera. Si dice che un albero si giudica dai suoi frutti.
Ebbene, oggi in Occidente cominciamo a cogliere i frutti amari di cinquant’anni di femminismo laicista. Oggi le donne occidentali fanno sempre meno figli (con conseguenze devastanti, che tutti conosciamo, per la civiltà occidentale) e passano sempre meno tempo con loro. In uno studio recente dal titolo The epidemic, lo psichiatra infantile Robert Shaw dimostra che i figli delle donne che passano la maggior parte del tempo fuori casa crescono male: sono viziati e consumisti, rendono poco negli studi, sono più esposti alla seduzione degli stupefacenti e più inclini ai comportamenti criminali (le baby gang proliferano in tutti i paesi occidentali).
Negli Usa il sito TheEpidemic.com raccoglie migliaia di testimonianze di genitori americani che confermano la giustezza delle osservazioni di Shaw. E se i bambini stanno male, le donne non stanno bene: soffrono come mai prima nella storia di nevrosi e depressione.
Oggi, in pieno regime di correttezza politica, ogni tentativo di critica al femminismo laicista viene stroncato sul nascere. Nonostante questo, le voci di critica a questo femminismo si levano sempre più numerose. Sfidando i rigori dell’inquisizione politically correct, alcuni scienziati dimostrano con argomenti scientifici che fra uomini e donne non ci sono soltanto delle differenze meramente fisiche. Di recente il neurologo cognitivista di Cambridge Simon Baron-Cohen, autore de “The essential difference” (tradotto da Mondadori nel 2003) ha dimostrato che il cervello dei maschi è programmato per operazioni di tipo sistematico, mentre il cervello delle femmine è più empatico. Nei suoi esperimenti ha rilevato che i neonati maschi sono più attratti dalle figure geometriche mentre le neonate sono più attente ai volti delle persone. Lo scorso anno la neuropsichiatra americana Louann Brizendine ha pubblicato uno studio, che ha fatto molto scalpore, in cui dimostra che esistono addirittura delle differenze morfologiche fra il cervello maschile e quello femminile. In sintesi, alcune zone del cervello sono più sviluppate nelle donne che negli uomini: la corteccia prefrontale (preposta al controllo degli impulsi aggressivi e all’autocontrollo), l’insula (legata alla capacità di intuizione e di empatia), la corteccia anteriore (legata alla facoltà di prendere le decisioni), l’ippocampo (il deposito della memoria). L’ipotalamo (il regolatore degli ormoni legato all’insorgere della pubertà) si sviluppa prima nelle ragazze che nei ragazzi, mentre la ghiandola pituataria è più attiva nelle donne, regolando le fasi della gravidanza e dell’allattamento (Repubblica, 24\7\06).
Finalmente oggi la scienza dimostra quello che sarebbe necessario dimostrare, e cioè che le donne sono diverse dagli uomini. Tutte le caratteristiche non solo fisiche ma anche mentali della donna sono orientate ad uno scopo: essere instancabilmente per l’uomo e per il suo bene.


Il Femminismo Laicista - 2da Parte

IL FEMMINISMO LAICISTA - 2nda Parte 

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Credo che i moderni matrimoni americani siano, in linea di massima, condotti su una base di eguaglianza, ma ritengo anche che l’opinione opposta sia più vicina alla verità di quella delle Nuove Femministe: vale a dire, che sono più gli uomini, non le donne, ad essere verosimilmente la classe o il genere oppresso nella nostra società e che sono molto di più gli uomini ad essere i “neri”, gli schiavi, e le donne i loro padroni. In primo luogo, le militanti femministe affermano che il matrimonio è un’istituzione diabolica attraverso la quale i mariti schiavizzano le loro mogli e le costringono a crescere bambini e fare i lavori di casa.

Ma consideriamo questo:
nella grande maggioranza dei casi, chi è che insiste sul matrimonio, l’uomo o la donna? Tutti conoscono la risposta. E se questo grande desiderio verso il matrimonio è il risultato del lavaggio del cervello maschile, come sostengono le liberazioniste, allora com’è possibile che molti uomini resistano al matrimonio, che indietreggino alla prospettiva di insediarsi per tutta la vita sul trono della “tirannia” domestica?
In verità, poichè il capitalismo ha immensamente alleggerito l’onere dei lavori domestici attraverso una tecnologia avanzata, molte mogli sono andate progressivamente a costituire una classe agiata mantenuta. Nel quartiere della classe media in cui vivo, io le vedo, queste streghe “oppresse” e dalla faccia truce, camminare impettite nei loro colli di visone verso la prossima partita di bridge o di mah-jong, mentre i loro mariti si ammazzano di lavoro per mantenere le loro partner.
In questi casi, allora, chi sono i “negri”: le mogli? O i mariti? Le femministe affermano che gli uomini sono i padroni perchè svolgono la gran parte del lavoro del mondo. Ma se guardiamo indietro alla società schiavista del Sud, chi davvero lavorava? E’ sempre lo schiavo che lavora, mentre i padroni vivono nell’ozio grazie ai frutti delle loro fatiche. Finchè i mariti lavorano e sostengono la famiglia, mentre le mogli godono di uno status privilegato, chi sono i padroni?
Non c’è nulla di nuovo in questo argomento, ma è un punto che è stato dimenticato nel mezzo dell’attuale furore.
Viene osservato da anni – e specialmente dagli europei e dagli asiatici – che troppi uomini americani vivono in un matriarcato, dominati in primis dal mammismo, poi dalle insegnanti e quindi dalle loro mogli. Blondie e Dagwood hanno simboleggiato a lungo per i sociologi un predominante matriarcato americano, un matriarcato che contrasta con lo scenario europeo, dove le donne, sebbene maggiormente disoccupate che negli Stati Uniti, non gestiscono la casa.
Il maschio americano che si lascia dominare dalla moglie è stato a lungo il bersaglio di uno humor percettivo. E, infine, quando l’uomo muore, come accade solitamente, prima della sua compagna, questa eredita l’intero patrimonio di famiglia, col risultato che molto più del 50 % della ricchezza dell’America è posseduta da donne. Il reddito – indice del lavoro produttivo – è meno significativo qui del possesso della ricchezza finale. Ecco un altro fatto inconveniente che le militanti femministe liquidano bruscamente come privo di importanza. E, infine, se il marito dovesse intraprendere la strada del divorzio, viene bastonato dalle leggi sugli alimenti, che è obbligato a pagare e ripagare per mantenere una donna che non vede più e, se smette di pagare, affronta la barbara pena dell’incarcerazione – l’unico esempio vigente nella nostra struttura legale di carcerazione per il mancato pagamento di un “debito”. Eccettuato il fatto che, ovviamente, questo è un “debito” in cui l’uomo non è mai volontariamente incorso.
Chi sono, quindi, gli schiavi?

E per quanto concerne gli uomini che costringono le donne a generare e crescere figli, quale, di nuovo, nella maggior parte dei casi, è la parte nel matrimonio più desiderosa di avere figli? Una volta di più, tutti conoscono la risposta.
Quando, come fanno talvolta, le femministe riconoscono il potere matriarcale da parte delle donne americane, la loro difesa, al solito, consiste nel ricorso all’operazionalmente insignificante: l’apparente dominio della moglie è solo un riflesso della sua quintessenziale passività e subordinazione, cosicchè le donne devono ricorrere alla manipolazione e alla malignità come strada verso…. il potere. Sotto il loro apparente predominio, queste mogli sono psicologicamente infelici. Forse, ma suppongo che si potrebbe argomentare che anche lo schiavista del vecchio Sud era psicologicamente a disagio a causa del suo innaturale ruolo dominante. Ma il fatto politicoeconomico del suo predominio rimaneva e questo è il punto fondamentale.
Il test decisivo per determinare se le donne sono schiavizzate o no nel matrimonio moderno è quello della “legge naturale”: consideriamo ciò che accadrebbe se tutto dipendesse dalle femministe e non vi fosse matrimonio. In tale situazione, e in un mondo conseguentemente promiscuo, che accadrebbe ai bambini? La risposta è che l’unico genitore visibile e dimostrabile sarebbe la madre. Solo la madre avrebbe il bambino e quindi solo lei sarebbe legata a quest’ultimo. In breve, le militanti che si lamentano perchè a loro viene appioppato il compito di crescere i figli dovrebbero badare al fatto che, in un mondo senza matrimonio, sarebbero comunque costrette a guadagnarsi un reddito per mantenere i bambini.
Suggerisco di contemplare tale prospettiva molto e a lungo prima di continuare a gridare a favore dell’abolizione del matrimonio e della famiglia.
La femministe più profonde hanno riconosciuto che il loro punto critico è trovare una soluzione per la crescita dei figli. Chi lo farà? Le moderate rispondono: la fornitura governativa di asili nido, cosicchè le donne possano liberamente tornare a lavorare. Ma il problema qui, a prescindere dalla questione generale del socialismo e dello statalismo, è questo: come può essere che il libero mercato non abbia fornito asili nido largamente non costosi, come accade per ogni prodotto o servizio nella domanda di massa? Nessuno deve chiedere a gran voce la fornitura statale di motel, per esempio. Ce ne sono moltissimi. L’economista è costretto a rispondere: o la domanda delle madri di tornare al lavoro non è grande quanto le Nuove Femministe vogliono farci credere e/o alcuni controlli da parte del governo – forse i requisiti per le bambinaie o le leggi che regolano la concessione delle licenze – stanno artificialmente restringendo l’offerta. Qualunque sia la ragione, comunque, più governo non è chiaramente la risposta.


Le militanti più radicali non sono però soddisfatte di una soluzione così futile come gli asili nido (chi altri se non le donne potrebbero costituire il personale di questi asili?). Ciò che vogliono, come indica Susan Brownmiller nel suo articolo sul New York Sunday Times Magazine (15 Marzo), è la totale equità marito-moglie in tutti i campi, che significa carriera, lavori domestici ed educazione dei figli egualmente condivisi. Brownmiller riconosce che questo vorrebbe dire che il marito dovrebbe lavorare per sei mesi e la moglie per i successivi sei mesi, mentre entrambi si alternerebbero ogni sei mesi nella cura dei bambini, o che tutti e due lavorerebbero e si alternerebbero a crescere i figli per metà giornata. Qualunque strada venga scelta, è del tutto chiaro che questa totale equità potrebbe essere perseguita solo se entrambe le parti accettassero di vivere perennemente ad un livello di sussistenza, da lavoro part-time, hippie. Quale carriera di qualche importanza o qualità può essere ricercata in una maniera così transitoria e a casaccio? Al di sopra del livello hippie, quindi, questa pretesa “soluzione” è semplicemente assurda.
Se la nostra analisi è corretta, e stiamo già vivendo in un matriarcato, allora il vero significato del nuovo femminismo non è, come vorrebbero farci credere, la “liberazione” delle donne dalla loro oppressione. Non potremmo dire che, non soddisfatte del mantenimento e della dominazione sottile, queste donne stanno raggiungendo avidamente il potere totale? Non contente di essere sostenute e protette, tentano ora di forzare i loro passivi e pazienti mariti a fare anche la maggior parte dei lavori domestici e a crescere i figli. Conosco personalmente diverse coppie in cui la moglie è una militante liberazionista e al marito è stato praticato il lavaggio del cervello dalla sua partner per farlo diventare uno Zio Tom e un traditore del suo genere. In tutti questi casi, dopo una lunga e dura giornata in ufficio o ad insegnare per sostenere la famiglia, il marito se ne sta a casa badando ai bambini mentre la moglie si trova ai meeting del Movimento di Liberazione delle Donne per concertare la loro ascesa al potere totale e per denunciare i loro mariti come oppressori sessisti.
Non appagata dal tradizionale set da mah-jongg, la Nuova Donna sta cercando di raggiungere l’ultimo colpo castrante, da accettarsi, suppongo, con mite gratitudine dai loro coniugi liberal.
C’è ancora la soluzione liberazionista estremista: abbandonare il sesso, o perlomeno l’eterosessualità, interamente. Non c’è dubbio che questo risolverebbe almeno il problema della crescita dei figli. L’accusa di lesbismo era considerata una velenosa calunnia maschilista nei confronti della donna liberata. Ma nei fiorenti scritti delle Nuove Femministe è stato promosso un esplicito e crescente richiamo all’omosessualità femminile.

Osserviamo, per esempio, Rita Mae Brown, scrivere sul primo numero “liberato” di Rat (Febbraio 6): “Per una donna, affermare apertamente la propria eterossessualità significa enfatizzare la propria “bontà” per mezzo dell’attività sessuale con gli uomini. Questo antico lavaggio del cervello sessista si insedia anche nella coscienza della più ardente femminista che vi dirà immediatamente che adora dormire con gli uomini. Infatti, il modo peggiore in cui una donna può essere chiamata nella nostra società è lesbica. Le donne sono talmente identificate con gli uomini che tremano al solo sentir menzionare questa parola di tre sillabe. La lesbica è, ovviamente, la donna che non ha bisogno degli uomini. Ma se ci si pensa, cosa c’è di terribile in due donne che si amano? Per il maschio insicuro, questa è l’offesa suprema, la blasfemia più oltraggiosa commessa contro il sacro scroto”.
“Dopotutto, cosa accadrebbe se cessassimo di amarci? Buone cose per noi ma ciò vorrebbe dire che ogni uomo perderebbe il suo “negro” personale…. una grande perdita se sei un uomo….”.
“Amare un’altra donna è l’accettazione di un sesso che è violazione della cultura maschile (il sesso come sfruttamento) e quindi comporta diverse pene…Alle donne è stato insegnato ad abdicare al potere dei nostri corpi, sia fisicamente nell’atletica e nell’autodifesa sia sessualmente. Dormire con un’altra donna significa mettere a confronto la bellezza e il potere del vostro corpo come pure del suo. Ci si confronta con l’esperienza della propria autoconsapevolezza sessuale. Inoltre, ci si trova di fronte un altro essere umano senza lo stratagemma protettivo del ruolo. Questo può essere doloroso per la maggioranza delle donne perchè molte sono state così brutalizzate dal recitare un ruolo eterosessuale che non riescono a comprendere questo reale potere. E’ un’esperienza schiacciante. Potrei definirla una vetta della libertà. Non c’è da stupirsi che sussista una tale resistenza nei confronti del lesbismo”.
O questa, nello stesso numero, “Weatherwoman”: “Il sesso diventa completamente diverso senza la gelosia.
Donne che non avevano mai immaginato di farlo con altre donne hanno iniziato ad apprezzarsi l’un l’altra sessualmente… Ciò che il weatherman sta facendo è creare nuovi standard con cui uomini e donne possano relazionarsi. Stiamo cercando di rendere il sesso non sfruttatore…. Stiamo creando qualcosa di nuovo, per mezzo del denominatore comune che è la rivoluzione”.
O, infine, ancora nello stesso numero, Robin Morgan:
“Lasciatela vivere. Lasciatela mostrarsi malevola, maliziosa, lesbica, frustrata, pazza, Solanasiana, innamorata, frigida, ridicola, pungente, imbarazzante, odiatrice dell’uomo, calunniatrice… Il sessismo non è colpa delle donne – uccidete i vostri padri, non le vostre madri.”
E così, nel cuore profondo del Movimento per la Liberazione delle Donne si cela un pungente, estremamente nevrotico se non psicotico lesbismo anti-maschile. La quintessenza del Nuovo Femminismo è rivelata.
Questo spirito è confinato a poche estremiste? E’ ingiusto pensare che il movimento nel suo insieme abbia gli stessi difetti della Lesbica rampante? Temo di no. Per esempio, uno dei motivi dominanti che permea l’intero è una stridente opposizione agli uomini che trattano le donne come “oggetti sessuali”. Questo trattamento apparentemente avvilente, degradante e sfruttatore si estende dalla pornografia ai concorsi di bellezza, dalla pubblicità delle belle modelle che usano un prodotto, a tutta la gamma dei fischi e agli sguardi di ammirazione alle ragazze in minigonna. Ma non v’è dubbio che questo attacco alle donne come “oggetti sessuali” sia semplicemente un attacco al sesso, o piuttosto all’eterosessualità. Questi nuovi mostri del genere femminile mirano alla distruzione della squisita e antica consuetudine – apprezzata in tutto il mondo dalle donne normali – di vestirsi per attrarre gli uomini e avere successo in questo simpatico compito. Che vita tetra e noiosa vogliono imporci queste megere! Un mondo in cui tutte le ragazze appaiano dei lottatori trascurati , dove la bellezza e l’attrattiva sono state sostituite dalla bruttezza e dall’ “unisex”, dove la deliziosa femminilità è stata abolita a vantaggio del femminismo cupo, aggressivo e mascolino.



Segue - Terza Parte

Femminismo Laicista

Contro il femminismo -1970 di Murray N.Rothbard

1a Parte

Abbiamo indugiato fin troppo, è ora che qualcuno denunci la “Liberazione delle Donne”. Come per l’ambiente, la liberazione delle Donne è improvvisamente ovunque negli ultimi mesi. E’ diventato impossibile evitare di essere assaliti, ogni giorno, senza tregua, dal noioso chiacchiericcio delle femministe. Numeri speciali di riviste, programmi televisivi e  quotidiani si sono impegnati in questo “problema” appena scoperto; e circa due dozzine di libri stanno venendo catalogati per la pubblicazione quest’anno dai maggiori editori.
In tutta questa verbosa confusione, non un articolo, non un libro, non un programma ha osato presentare la tesi opposta. L’ingiustizia di questa ondata a senso unico dovrebbe essere palese. Non solo è evidente, ma l’assenza di una opposizione pubblicata nega una delle maggiori accuse delle forze della liberazione delle donne: che la società e l’economia stanno scricchiolando sotto una tirannia monolitica, maschile e “sessista”.
Se gli uomini tengono le fila, come può essere che essi non osino neppure stampare o presentare qualcuno del proprio schieramento?
Tuttavia, gli “oppressori” rimangono stranamente silenziosi, il che conduce a sospettare, come approfondiremo successivamente, che forse l’oppressione risiede nella sponda opposta.
Nel frattempo, gli “oppressori” maschili stanno agendo, alla maniera dei liberal, ovunque  come conigli oppressi dalla colpa o impauriti. Quando le cento bisbetiche del Movimento di Liberazione delle Donne hanno tiranneggiato alla loro maniera nella sede principale del Ladies’ Home Journal, il maltrattato redattore-capo, John Mack Carter, ha forse buttato fuori questi aggressori, come avrebbe dovuto fare? Ha, almeno, abbandonato il suo ufficio per il resto della giornata ed è tornato a casa? No, è rimasto invece seduto pazientemente per undici ore mentre queste streghe coprivano di insulti lui, il suo magazine e il suo genere per poi acconsentire docilmente a donare loro una sezione speciale del Journal, accanto a 10.000 $ di riscatto.
Così facendo, questo progressismo maschile senza spina dorsale nutre l’appetito degli aggressori e prepara il terreno per la prossima serie di “richieste” oltraggiose. La rivista Rat, un tabloid underground, ha ceduto in maniera persino più spettacolare, permettendo semplicemente di farsi controllare in modo permanente da un “collettivo per la liberazione delle donne”.
Perchè, tuttavia, questo improvviso slancio del femminismo? Persino la più fanatica megera del Movimento delle Donne ammette che questo nuovo movimento non è emerso in risposta a qualche improvvisa stretta repressiva maschile nei confronti della suscettibilità della donna americana.
Invece, la nuova rivolta è parte della corrente degenerazione della New Left, la quale, poichè la sua politica, la sua ideologia e la sua organizzazione, in precedenza parzialmente libertarie, sono collassate, si sta frantumando in correnti febbrili e ridicole, dal Maoismo ai Weathermen al folle terrorismo bombarolo al movimento femminista.
L’inebriante prospettiva della “liberazione” era assurdamente nell’aria da qualche tempo per ogni gruppo picchiatello e ora le donne della New Left sono entrate in azione. Non abbiamo bisogno di spingerci fino al recente commento del Professor Edward A. Shils, eminente sociologo all’Università di Chicago, che si attende ora un “fronte di liberazione del cane”, ma è dura biasimare il fastidio dietro il suo appunto. Per tutta la durata della “liberazione”, il maggiore obiettivo è stato l’inoffensivo, lavoratore, americano adulto WASP, l’Uomo Dimenticato di William Graham Sumner; e ora questo sfortunato Dagwood Bumstead viene colpito ancora una volta. Quanto ci vorrà prima che il maltrattato e sofferente americano medio perda alla fine la propria pazienza e insorga rabbiosamente per protestare a suo favore?
L’attuale Movimento delle Donne è divisibile in due parti. L’ala più vecchia, leggermente meno irrazionale acque nel 1963 con la pubblicazione de La mistica della femminilità di Betty Friedan e l a sua creazione del NOW (Organizzazione Nazionale delle Donne). Il NOW si concentra sulla presunta discriminazione economica a danno delle donne. Per esempio: il fatto che mentre la paga media annua per tutti i lavori nel 1968 era di circa 7700 $ per gli uomini, per le donne ammontava a 4500 $, il 58 % del dato maschile. L’altro fatto fondamentale è l’argomento delle quote: cioè che se si getta uno sguardo sulle varie professioni, sulle posizioni di alta dirigenza, ecc.. la quota di donne è molto più bassa del loro in apparenza meritato 51%, la loro percentuale sulla popolazione totale.
L’argomento delle quote può essere liquidato rapidamente, poichè è un’arma a doppio taglio. Se la bassa percentuale di donne nella chirurgia, nella legge, nel management ecc.. è la prova che gli uomini dovrebbero essere rimpiazzati in gran fretta dalle donne, allora cosa dobbiamo fare con gli ebrei, per esempio, che eccellono ben al di là della quota assegnata loro nelle professioni, nella medicina, nelle accademie, ecc..? Devono essere epurati?



Il reddito medio inferiore per le donne può essere spiegato in base a diverse ragioni, che non hanno nulla a che fare con un’irrazionale discriminazione “sessista”. Una di queste è il fatto che la schiacciante maggioranza delle donne lavora per pochi anni e poi utilizza una larga fetta dei suoi anni produttivi per crescere i figli, dopo i quali potrebbe decidere o meno di ritornare nella forza lavoro. Come risultato, esse tendono a trovare lavoro maggiormente in quelle industrie e in quel tipo di occupazione che non richiede un impegno a lungo termine per la carriera. Inoltre, tendono ad occupare quei posti di lavoro in cui il costo della formazione professionale del nuovo personale, o della perdita di quello vecchio, è relativamente basso. Queste sono generalmente occupazioni con retribuzioni inferiori di quelle che richiedono un impegno sul lungo periodo o in cui i costi della formazione o del ricambio sono alti. Questa tendenza generalizzata a prendersi alcuni anni per crescere i figli giustifica moltissimo il fallimento nel promuovere le donne alle posizioni più elevate, e quindi ai lavori più pagati, e così le basse “quote” femminili in tali aree. E’ facile assumere segretarie che non si prefiggono di fare del lavoro una parte importante della loro vita; non è così semplice promuovere nella scala accademica o aziendale persone che non agiscono così. Come può diventare presidente di una compagnia o professore chi si ritira per maternità?
Mentre queste considerazioni giustificano in buona parte le paghe più basse o i lavori in posizione subordinata per le donne, non risolvono del tutto il problema. Nell’economia capitalista, le donne vantano una piena libertà;
la discriminazione irrazionale nell’occupazione tende ad essere minima nel libero mercato, per la semplice ragione che il datore di lavoro stesso soffre di tale pratica discriminatoria. Nel libero mercato, ogni lavoratore tende a guadagnare il valore del suo prodotto, la sua “produttività marginale”. Similmente, ognuno tende ad ottenere il lavoro che sa compiere meglio, a lavorare ai suoi massimi sforzi produttivi. Gli imprenditori che persistono nel pagare al di sotto del prodotto marginale di una persona ne soffriranno perdendo i loro migliori lavoratori e così perdendo profitti per loro stessi. Se le donne hanno costantemente stipendi più bassi e lavori più poveri, anche dopo aver usufruito del congedo per maternità, allora la semplice ragione deve essere che la loro produttività marginale tende ad essere inferiore a quella degli uomini.
Bisogna osservare che, contrariamente alle forze della liberazione femminile che tendono a biasimare sia il capitalismo sia gli uomini per discriminazioni vecchie di secoli, è stato precisamente il capitalismo stesso e la rivoluzione capitalista del diciottesimo e diciannovesimo secolo che ha liberato le donne dall’oppressione maschile e ha permesso a ogni donna di cercare la posizione a lei più adatta. Fu il sistema feudale e precapitalista, precedente la società di mercato, ad essere contraddistinto dal dominio maschile; era precisamente quella società in cui le donne erano beni dei loro padri e dei loro mariti, dove non potevano possedere alcuna proprietà ecc… (1) Il capitalismo lasciò libere le donne di trovare il proprio ruolo sociale e il risultato è quello che vediamo oggi.
Le femministe replicano che le donne posseggono il pieno potenziale per eguagliare rendimento e produttività degli uomini, ma sono state intimorite da secoli di oppressione maschile. Ma la visibile mancanza di progressi verso le cariche più alte nel capitalismo rimane. Ci sono poche dottoresse, ad esempio. Tuttavia, le scuole mediche oggigiorno non solo non discriminano contro le donne, ma si fanno in quattro per accettarle (per esempio, discriminano in loro favore); ciò nonostante, la proporzione di dottoresse non è ancora evidentemente elevata.
Le liberazioniste fanno allora ricorso ad un altro argomento: che secoli di “lavaggio del cervello” da parte di una cultura dominata dagli uomini ha reso passiva la maggior parte delle donne, che accettano il loro presunto ruolo inferiore e a cui piace persino il loro ruolo maggiore come casalinghe e madri. Ma il vero problema per le femministe, evidentemente, è che la schiacciante maggioranza delle donne abbraccia “la mistica della femminilità”, sentono davvero che le loro uniche carriere sono quelle di madre e donna di casa. Tacciare questi forti ed evidenti desideri semplicemente come “lavaggio del cervello” prova davvero poco; infatti, si può sempre respingere i valori di una persona, non importa quanto siano abbracciati profondamente, come la conseguenza di un “lavaggio del cervello”. Tale opinione rispecchia ciò che i filosofi chiamano “operazionalmente insignificante”, giacchè comporta che le militanti femministe rifiutano di accettare ogni prova, logica o empirica di qualsiasi tipo, che potrebbe dimostrare che le loro affermazioni sono erronee. Mostrate loro una donna che ama la vita familiare e bolleranno ciò come “lavaggio del cervello”; mostrate loro una militante e affermeranno che questo prova che le donne desiderano ardentemente la “liberazione”.
In breve, queste femministe considerano le loro deboli opinioni come non sottoponibili ad alcuna prova; ma questo è un infondato metodo delle mistiche piuttosto che un argomento che riflette la verità scientifica.
E neppure l’alto tasso di conversione rivendicato dalle liberazioniste prova nulla; non potrebbe forse essere il risultato di un “lavaggio del cervello” da parte delle militanti femministe? Dopotutto, se aveste i capelli rossi ed improvvisamente emergesse una Lega per la Liberazione delle Persone coi capelli rossi e vi gridasse che siete stati eternamente oppressi dalle spregevoli persone senza capelli rossi, qualcuno di voi potrebbe benissimo unirsi alla lotta. Ciò però non dimostra affatto che chi ha i capelli rossi sia oggettivamente perseguitato.


Non arrivo ad affermare, come fanno gli uomini “sessisti”, che le donne dovrebbero occuparsi solo della casa e dei figli, e che qualsiasi ricerca di carriere alternative è innaturale. Dall’altro lato, non supporto l’opinione opposta secondo cui le donne che si dedicano alla famiglia stanno violando la loro natura. C’è in questo come in tutti i campi una divisione del lavoro e nella società di libero mercato ogni individuo si inserirà in quelle aree lavorative che lui o lei trovano più attraenti. La proporzione di donne lavoratrici è molto più alta di vent’anni fa e questo va bene; ma è ancora una minoranza delle femmine e anche questo va bene. Chi siamo tu o io per dire a qualcuno, maschio o femmina, che occupazione lui o lei dovrebbero svolgere?
Inoltre, le femministe sono cadute in una trappola logica nella loro accusa ai secoli di lavaggio del cervello maschile. Se questa accusa fosse vera, allora come mai gli uomini hanno dominato la cultura per millenni?
Sicuramente, questo non può essere un caso. Non è questa allora la prova della superiorità maschile?
Le seguaci della Friedan, che richiedono stridentemente eguaglianza di reddito e posizione, sono state tuttavia sorpassate nei mesi recenti dalle militanti più estremiste, o “nuove femministe”, donne che collaborano col vecchio movimento ma le considerano delle Zie Tom conservatrici. Queste nuove militanti, che stanno ottenendo grande attenzione, paragonano in maniera persistente la loro presunta oppressione a quella dei neri e, come il movimento dei neri, rifiutano l’eguaglianza e l’integrazione a favore di un radicale cambiamento della società.
Reclamano l’abolizione rivoluzionaria del preteso potere maschile e il suo apparente corollario, la famiglia.
Mostrando un odio inveterato e malcelato per gli uomini, queste attiviste pretendono comuni di sole donne, bambini fabbricati in provetta, figli controllati dallo stato o semplicemente la soppressione degli uomini, come la fondatrice del movimento per la liberazione delle donne, Valerie Solanas, ha sostenuto nel suo Manifesto della SCUM (Società per l’eliminazione degli uomini). Solanas è diventata l’eroina-culto del Nuovo Femminismo nel 1968 quando sparò e quasi uccise il pittore e regista Andy Warhol. Invece di essere liquidata (come sarebbe stata da ogni persona razionale) come una pazza isolata, le donne liberate hanno scritto articoli che elogiavano Solanas come la “dolce assassina” che ha provato a eliminare “l’uomo di plastica” Warhol. A quel punto, avremmo dovuto capire quello che ci aspettava.


Segue  - Seconda Parte
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