venerdì 18 novembre 2011

Il Femminismo Laicista - 2da Parte

IL FEMMINISMO LAICISTA - 2nda Parte 

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Credo che i moderni matrimoni americani siano, in linea di massima, condotti su una base di eguaglianza, ma ritengo anche che l’opinione opposta sia più vicina alla verità di quella delle Nuove Femministe: vale a dire, che sono più gli uomini, non le donne, ad essere verosimilmente la classe o il genere oppresso nella nostra società e che sono molto di più gli uomini ad essere i “neri”, gli schiavi, e le donne i loro padroni. In primo luogo, le militanti femministe affermano che il matrimonio è un’istituzione diabolica attraverso la quale i mariti schiavizzano le loro mogli e le costringono a crescere bambini e fare i lavori di casa.

Ma consideriamo questo:
nella grande maggioranza dei casi, chi è che insiste sul matrimonio, l’uomo o la donna? Tutti conoscono la risposta. E se questo grande desiderio verso il matrimonio è il risultato del lavaggio del cervello maschile, come sostengono le liberazioniste, allora com’è possibile che molti uomini resistano al matrimonio, che indietreggino alla prospettiva di insediarsi per tutta la vita sul trono della “tirannia” domestica?
In verità, poichè il capitalismo ha immensamente alleggerito l’onere dei lavori domestici attraverso una tecnologia avanzata, molte mogli sono andate progressivamente a costituire una classe agiata mantenuta. Nel quartiere della classe media in cui vivo, io le vedo, queste streghe “oppresse” e dalla faccia truce, camminare impettite nei loro colli di visone verso la prossima partita di bridge o di mah-jong, mentre i loro mariti si ammazzano di lavoro per mantenere le loro partner.
In questi casi, allora, chi sono i “negri”: le mogli? O i mariti? Le femministe affermano che gli uomini sono i padroni perchè svolgono la gran parte del lavoro del mondo. Ma se guardiamo indietro alla società schiavista del Sud, chi davvero lavorava? E’ sempre lo schiavo che lavora, mentre i padroni vivono nell’ozio grazie ai frutti delle loro fatiche. Finchè i mariti lavorano e sostengono la famiglia, mentre le mogli godono di uno status privilegato, chi sono i padroni?
Non c’è nulla di nuovo in questo argomento, ma è un punto che è stato dimenticato nel mezzo dell’attuale furore.
Viene osservato da anni – e specialmente dagli europei e dagli asiatici – che troppi uomini americani vivono in un matriarcato, dominati in primis dal mammismo, poi dalle insegnanti e quindi dalle loro mogli. Blondie e Dagwood hanno simboleggiato a lungo per i sociologi un predominante matriarcato americano, un matriarcato che contrasta con lo scenario europeo, dove le donne, sebbene maggiormente disoccupate che negli Stati Uniti, non gestiscono la casa.
Il maschio americano che si lascia dominare dalla moglie è stato a lungo il bersaglio di uno humor percettivo. E, infine, quando l’uomo muore, come accade solitamente, prima della sua compagna, questa eredita l’intero patrimonio di famiglia, col risultato che molto più del 50 % della ricchezza dell’America è posseduta da donne. Il reddito – indice del lavoro produttivo – è meno significativo qui del possesso della ricchezza finale. Ecco un altro fatto inconveniente che le militanti femministe liquidano bruscamente come privo di importanza. E, infine, se il marito dovesse intraprendere la strada del divorzio, viene bastonato dalle leggi sugli alimenti, che è obbligato a pagare e ripagare per mantenere una donna che non vede più e, se smette di pagare, affronta la barbara pena dell’incarcerazione – l’unico esempio vigente nella nostra struttura legale di carcerazione per il mancato pagamento di un “debito”. Eccettuato il fatto che, ovviamente, questo è un “debito” in cui l’uomo non è mai volontariamente incorso.
Chi sono, quindi, gli schiavi?

E per quanto concerne gli uomini che costringono le donne a generare e crescere figli, quale, di nuovo, nella maggior parte dei casi, è la parte nel matrimonio più desiderosa di avere figli? Una volta di più, tutti conoscono la risposta.
Quando, come fanno talvolta, le femministe riconoscono il potere matriarcale da parte delle donne americane, la loro difesa, al solito, consiste nel ricorso all’operazionalmente insignificante: l’apparente dominio della moglie è solo un riflesso della sua quintessenziale passività e subordinazione, cosicchè le donne devono ricorrere alla manipolazione e alla malignità come strada verso…. il potere. Sotto il loro apparente predominio, queste mogli sono psicologicamente infelici. Forse, ma suppongo che si potrebbe argomentare che anche lo schiavista del vecchio Sud era psicologicamente a disagio a causa del suo innaturale ruolo dominante. Ma il fatto politicoeconomico del suo predominio rimaneva e questo è il punto fondamentale.
Il test decisivo per determinare se le donne sono schiavizzate o no nel matrimonio moderno è quello della “legge naturale”: consideriamo ciò che accadrebbe se tutto dipendesse dalle femministe e non vi fosse matrimonio. In tale situazione, e in un mondo conseguentemente promiscuo, che accadrebbe ai bambini? La risposta è che l’unico genitore visibile e dimostrabile sarebbe la madre. Solo la madre avrebbe il bambino e quindi solo lei sarebbe legata a quest’ultimo. In breve, le militanti che si lamentano perchè a loro viene appioppato il compito di crescere i figli dovrebbero badare al fatto che, in un mondo senza matrimonio, sarebbero comunque costrette a guadagnarsi un reddito per mantenere i bambini.
Suggerisco di contemplare tale prospettiva molto e a lungo prima di continuare a gridare a favore dell’abolizione del matrimonio e della famiglia.
La femministe più profonde hanno riconosciuto che il loro punto critico è trovare una soluzione per la crescita dei figli. Chi lo farà? Le moderate rispondono: la fornitura governativa di asili nido, cosicchè le donne possano liberamente tornare a lavorare. Ma il problema qui, a prescindere dalla questione generale del socialismo e dello statalismo, è questo: come può essere che il libero mercato non abbia fornito asili nido largamente non costosi, come accade per ogni prodotto o servizio nella domanda di massa? Nessuno deve chiedere a gran voce la fornitura statale di motel, per esempio. Ce ne sono moltissimi. L’economista è costretto a rispondere: o la domanda delle madri di tornare al lavoro non è grande quanto le Nuove Femministe vogliono farci credere e/o alcuni controlli da parte del governo – forse i requisiti per le bambinaie o le leggi che regolano la concessione delle licenze – stanno artificialmente restringendo l’offerta. Qualunque sia la ragione, comunque, più governo non è chiaramente la risposta.


Le militanti più radicali non sono però soddisfatte di una soluzione così futile come gli asili nido (chi altri se non le donne potrebbero costituire il personale di questi asili?). Ciò che vogliono, come indica Susan Brownmiller nel suo articolo sul New York Sunday Times Magazine (15 Marzo), è la totale equità marito-moglie in tutti i campi, che significa carriera, lavori domestici ed educazione dei figli egualmente condivisi. Brownmiller riconosce che questo vorrebbe dire che il marito dovrebbe lavorare per sei mesi e la moglie per i successivi sei mesi, mentre entrambi si alternerebbero ogni sei mesi nella cura dei bambini, o che tutti e due lavorerebbero e si alternerebbero a crescere i figli per metà giornata. Qualunque strada venga scelta, è del tutto chiaro che questa totale equità potrebbe essere perseguita solo se entrambe le parti accettassero di vivere perennemente ad un livello di sussistenza, da lavoro part-time, hippie. Quale carriera di qualche importanza o qualità può essere ricercata in una maniera così transitoria e a casaccio? Al di sopra del livello hippie, quindi, questa pretesa “soluzione” è semplicemente assurda.
Se la nostra analisi è corretta, e stiamo già vivendo in un matriarcato, allora il vero significato del nuovo femminismo non è, come vorrebbero farci credere, la “liberazione” delle donne dalla loro oppressione. Non potremmo dire che, non soddisfatte del mantenimento e della dominazione sottile, queste donne stanno raggiungendo avidamente il potere totale? Non contente di essere sostenute e protette, tentano ora di forzare i loro passivi e pazienti mariti a fare anche la maggior parte dei lavori domestici e a crescere i figli. Conosco personalmente diverse coppie in cui la moglie è una militante liberazionista e al marito è stato praticato il lavaggio del cervello dalla sua partner per farlo diventare uno Zio Tom e un traditore del suo genere. In tutti questi casi, dopo una lunga e dura giornata in ufficio o ad insegnare per sostenere la famiglia, il marito se ne sta a casa badando ai bambini mentre la moglie si trova ai meeting del Movimento di Liberazione delle Donne per concertare la loro ascesa al potere totale e per denunciare i loro mariti come oppressori sessisti.
Non appagata dal tradizionale set da mah-jongg, la Nuova Donna sta cercando di raggiungere l’ultimo colpo castrante, da accettarsi, suppongo, con mite gratitudine dai loro coniugi liberal.
C’è ancora la soluzione liberazionista estremista: abbandonare il sesso, o perlomeno l’eterosessualità, interamente. Non c’è dubbio che questo risolverebbe almeno il problema della crescita dei figli. L’accusa di lesbismo era considerata una velenosa calunnia maschilista nei confronti della donna liberata. Ma nei fiorenti scritti delle Nuove Femministe è stato promosso un esplicito e crescente richiamo all’omosessualità femminile.

Osserviamo, per esempio, Rita Mae Brown, scrivere sul primo numero “liberato” di Rat (Febbraio 6): “Per una donna, affermare apertamente la propria eterossessualità significa enfatizzare la propria “bontà” per mezzo dell’attività sessuale con gli uomini. Questo antico lavaggio del cervello sessista si insedia anche nella coscienza della più ardente femminista che vi dirà immediatamente che adora dormire con gli uomini. Infatti, il modo peggiore in cui una donna può essere chiamata nella nostra società è lesbica. Le donne sono talmente identificate con gli uomini che tremano al solo sentir menzionare questa parola di tre sillabe. La lesbica è, ovviamente, la donna che non ha bisogno degli uomini. Ma se ci si pensa, cosa c’è di terribile in due donne che si amano? Per il maschio insicuro, questa è l’offesa suprema, la blasfemia più oltraggiosa commessa contro il sacro scroto”.
“Dopotutto, cosa accadrebbe se cessassimo di amarci? Buone cose per noi ma ciò vorrebbe dire che ogni uomo perderebbe il suo “negro” personale…. una grande perdita se sei un uomo….”.
“Amare un’altra donna è l’accettazione di un sesso che è violazione della cultura maschile (il sesso come sfruttamento) e quindi comporta diverse pene…Alle donne è stato insegnato ad abdicare al potere dei nostri corpi, sia fisicamente nell’atletica e nell’autodifesa sia sessualmente. Dormire con un’altra donna significa mettere a confronto la bellezza e il potere del vostro corpo come pure del suo. Ci si confronta con l’esperienza della propria autoconsapevolezza sessuale. Inoltre, ci si trova di fronte un altro essere umano senza lo stratagemma protettivo del ruolo. Questo può essere doloroso per la maggioranza delle donne perchè molte sono state così brutalizzate dal recitare un ruolo eterosessuale che non riescono a comprendere questo reale potere. E’ un’esperienza schiacciante. Potrei definirla una vetta della libertà. Non c’è da stupirsi che sussista una tale resistenza nei confronti del lesbismo”.
O questa, nello stesso numero, “Weatherwoman”: “Il sesso diventa completamente diverso senza la gelosia.
Donne che non avevano mai immaginato di farlo con altre donne hanno iniziato ad apprezzarsi l’un l’altra sessualmente… Ciò che il weatherman sta facendo è creare nuovi standard con cui uomini e donne possano relazionarsi. Stiamo cercando di rendere il sesso non sfruttatore…. Stiamo creando qualcosa di nuovo, per mezzo del denominatore comune che è la rivoluzione”.
O, infine, ancora nello stesso numero, Robin Morgan:
“Lasciatela vivere. Lasciatela mostrarsi malevola, maliziosa, lesbica, frustrata, pazza, Solanasiana, innamorata, frigida, ridicola, pungente, imbarazzante, odiatrice dell’uomo, calunniatrice… Il sessismo non è colpa delle donne – uccidete i vostri padri, non le vostre madri.”
E così, nel cuore profondo del Movimento per la Liberazione delle Donne si cela un pungente, estremamente nevrotico se non psicotico lesbismo anti-maschile. La quintessenza del Nuovo Femminismo è rivelata.
Questo spirito è confinato a poche estremiste? E’ ingiusto pensare che il movimento nel suo insieme abbia gli stessi difetti della Lesbica rampante? Temo di no. Per esempio, uno dei motivi dominanti che permea l’intero è una stridente opposizione agli uomini che trattano le donne come “oggetti sessuali”. Questo trattamento apparentemente avvilente, degradante e sfruttatore si estende dalla pornografia ai concorsi di bellezza, dalla pubblicità delle belle modelle che usano un prodotto, a tutta la gamma dei fischi e agli sguardi di ammirazione alle ragazze in minigonna. Ma non v’è dubbio che questo attacco alle donne come “oggetti sessuali” sia semplicemente un attacco al sesso, o piuttosto all’eterosessualità. Questi nuovi mostri del genere femminile mirano alla distruzione della squisita e antica consuetudine – apprezzata in tutto il mondo dalle donne normali – di vestirsi per attrarre gli uomini e avere successo in questo simpatico compito. Che vita tetra e noiosa vogliono imporci queste megere! Un mondo in cui tutte le ragazze appaiano dei lottatori trascurati , dove la bellezza e l’attrattiva sono state sostituite dalla bruttezza e dall’ “unisex”, dove la deliziosa femminilità è stata abolita a vantaggio del femminismo cupo, aggressivo e mascolino.



Segue - Terza Parte

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