sabato 7 ottobre 2017

LA battaglia di Lepanto


Ricordiamo la battaglia di Lepanto , la grande battaglia  a difesa della Cristianità. Un eccellente  racconto dello storico Massimo Viglione.

Don Juan diede ordine al Doria di prendere subito il largo, prima ancora dell’alba: la sua intenzione era di disporre la flotta in linea retta, in modo da avere facilità di manovra in qualsiasi evenienza. 



Ma, man mano che si disponevano per la battaglia, i cristiani si avvidero che le forze nemiche erano già in posizione, che era una flotta enorme e che aveva un forte vento dalla propria parte che la favoriva, al punto che cominciarono a temere di non fare in tempo a disporsi tutti in posizione e di venire quindi travolti ancor prima dell’inizio delle operazioni. 

Poi, improvvisamente, accadde il famoso “miracolo”, che tutte le fonti testimoniano, comprese le narrazioni ottomane: il vento si fermò di colpo, creando un’insolita bonaccia, ancor più strana in ottobre e in quelle zone, dove al mattino per l’appunto soffia sempre un forte vento (in ambiente ottomano si parlò di operazioni di stregoneria compiute dai cristiani). Questa novità tanto improvvisa quanto determinante diede coraggio a questi ultimi, non solo perché ebbero così tempo e modo di disporsi, ma soprattutto perché videro in questo misterioso evento il concreto segno del favore di Dio. I turchi non avevano potuto vedere tutto il resto della flotta che si nascondeva fra le isole Curzolari ed erano convinti della vittoria, ma quando la flotta intera fu distesa capirono che essa era immensa e l’umore iniziò a cambiare. 

Giunti “vis-à-vis”, si issarono gli stendardi. Sulla galea di Alì lo stendardo di cotone bianco della Mecca, spettante al principe dei credenti, ovvero al Sultano, con ricamato sopra 28900 volte il nome di Allah. Accanto ad esso lo stendardo del Kapudan paşa, datogli da Selim II in persona, anch’esso ricoperto di scritte religiose in oro e con una mano sopra, che simboleggiava il comando datogli dal Sultano. Sulla Real di don Juan innalzarono il vessillo di damasco celeste della Lega, con il Cristo crocifisso e gli stemmi del Re di Spagna, del Papa e di Venezia. Il Venier issò ovviamente il gonfalone di San Marco e il Colonna lo stendardo di Generale del Pontefice, di damasco rosso, col crocifisso tra gli apostoli Pietro e Paolo e la scritta In hoc signo vinces. Sulle navi di entrambe gli schieramenti si iniziarono a suonare i pifferi, a fare festa e a danzare (perfino Don Juan iniziò a danzare, abbandonandosi, secondo narrazioni di testimoni, in preda all’euforia che precede le battaglie, a un ballo sensuale e certamente non virile), per mantenere alto il morale dei soldati. Sulle navi cristiane, in più, vi erano ovviamente i sacerdoti che passavano con il crocifisso in mano dando sicurezza della vittoria agli uomini, confessando, benedicendo . Don Juan poi di colpo, finita la sua equivoca danza, si inginocchiò e pregò intensamente e con lui così fece l’intera flotta, mentre i sacerdoti benedicevano tutti. Poi a tutti gli uomini venne dato un generoso e abbondante pranzo, perché chiunque ne potesse avere anche durante lo scontro. Vennero liberati dalle catene tutti i galeotti di cui ci si poteva fidare e promessa loro la libertà e la remissione di ogni debito economico e giuridico. 

Anche Alì paşa promise la libertà agli schiavi spagnoli parlando per altro nella loro lingua. Era riconosciuto da tutti come un nemico degno di stima personale. Può sembrare strano che potessero accadere tutti questi eventi prima dello scontro, ma in effetti, pur essendo avvenuto l’avvistamento alle sette del mattino, la battaglia non ebbe inizio che mezzogiorno. Peraltro, nonostante fossero trascorse tante ore, la flotta cristiana era talmente vasta che non fece in tempo a mettersi in perfetta disposizione. 

Sulla destra, verso il mare aperto, si diresse il Doria: si allargò molto per dare modo a tutta la flotta di stendersi al massimo, ma anche per poter chiudere il passaggio all’estrema sinistra nemica, ove però era schierato Occhiali, il rinnegato calabrese che forse era l’unico più esperto di lui sulla guerra di mare. Al centro vi erano ovviamente le due capitane, e accadde un fatto clamoroso: Alì sparò dei colpi a salve come per farsi individuare da Don Juan, il quale subito rispose sparando una palla di cannone nel mare. Essendosi individuati, immediatamente le due capitane si puntarono, quasi a singolar tenzone. 

Dopodiché ebbe inizio la battaglia. Mentre i turchi miravano direttamente ad attaccare il centro della flotta nemica per l’arrembaggio e forse l’uccisione dei comandanti cristiani, trascurando così le galeazze ai loro lati, le galeazze cristiane, che erano anch’esse bene armate, circondarono la flotta che avanzava e facendo fuoco improvviso affondarono molte galee turche creando un fumo nero che tolse la vista al nemico. Le galeazze inoltre potevano sparare a ripetizione dai loro piccoli cannoni, a differenza di quelle delle galee che più di due colpi al massimo non potevano sostenere, e così il loro ruolo fu determinante all’inizio della battaglia per gettare nel caos la flotta nemica. I turchi risposero al fuoco ma troppo presto e le loro palle finivano quasi tutte in mare, mentre le galee cristiane, sparando all’ultimo istante, andavano a colpire sempre quelle nemiche.

Si arrivò quindi all’arrembaggio. I turchi scatenarono i loro archi lanciando un numero enorme di frecce, ma i cristiani, giunti ormai al combattimento a corpo a corpo, sparavano con gli archibugi facendo strage del nemico. La superiorità di fuoco e di armi dei cristiani fu determinante. Nel frattempo, da entrambe le parti si lanciava il fuoco greco, e decine di palle di fuoco volavano nell’aria bruciando vivi come torce gli uomini. Perfino Paolo Orsini e don Juan de Cardona furono ustionati e i gesuiti a bordo testimoniarono che usarono il burro trovato nelle navi turche per alleviare le ustioni dei malcapitati. Il pericolo maggiore i cristiani lo corsero a sinistra, quando le navi veneziane sotto il Barbarigo rischiarono di essere circondate dai turchi e attaccate alle spalle, ma riuscirono con un grande sforzo a far girare i vascelli su se stessi e a evitare il peggio. Poi intervennero anche Antonio Bragadin (il fratello di Marcantonio), il Quirini e altri e “stritolarono” di fatto l’ala sinistra dei turchi, che si buttavano a mare per salvarsi, ma invano: o affogavano o giunti a terra nelle isole circostanti venivano uccisi dai greci. I veneziani poterono liberare decine di donne cristiane deportate come schiave. Onorato Caetani testimoniò il grande valore dei veneziani, dicendo che Barbarigo con le sue 56 galee affondò o fece prigioniere 54 di quelle turche su 56 che ne aveva di fronte. 

Nel frattempo, le galee di Alì e Perteu giunsero dinanzi alle tre di Don Juan, che aveva a sinistra Venier e a destra Colonna. Colonna speronò Perteu, mentre le due capitane si assalirono e Venier pure attaccò quella di Alì. Lo scontro tra gli spagnoli e i giannizzeri durò a lungo ma alla fine un’altra galea spagnola sopraggiunse e per i turchi non vi fu più nulla da fare. Alì venne ucciso in combattimento. A questo punto Don Juan, che si trovava con la spada sguainata a poppa della Real, urlò “Vittoria!” e il grido iniziò a spargersi per tutta la flotta cristiana. Ma la battaglia in realtà non era ancora finita, perché vi erano ancora molte galee intatte con un buon numero di giannizzeri, e si dovette ancora combattere molto per venirne a capo. Finché non giunsero le galee del soccorso del marchese di Santa Cruz, che aiutarono un po’ tutti gli schieramenti e soprattutto i veneziani e diedero la svolta decisiva. 

L’unico vero neo della battaglia fu il Doria. Scelse come detto di allargarsi sempre più verso il mare aperto a destra, fino a distaccarsi troppo dallo scontro. Le navi che lo seguivano decisero invece di tornare indietro per partecipare al trionfo ma furono intercettate da Occhiali e, dopo ore di durissimo combattimento, i cristiani dovettero cedere e morire da eroi (caddero 11 galee dei veneziani, 1 dei Savoia, 2 di Sicilia, 1 del papa dove morirono molti cavalieri di Santo Stefano e la Capitana di Malta, dove caddero quasi tutti i cavalieri), mentre il corsaro poteva ormai mettersi in salvo. Il Doria rimase di fatto estraneo al grande scontro, macchia che non si è più levata dal suo onore fino a oggi (anche il papa in alcuni suoi commenti fece sempre pesare questa pecca di inaffidabilità, mentre i veneziani lo consideravano ormai più un corsaro che un capitano di mare).
A questo punto si scatenò ovunque il saccheggio, senza pietà, specie da parte degli spagnoli, che arrivarono perfino a uccidere schiavi cristiani pur di rubare ogni cosa. I superstiti turchi venivano invece in massima parte uccisi in mare, in un feroce massacro, come del resto avevano fatto i turchi con i cristiani catturati. Era ormai il tramonto del 7 ottobre 1571. Il mare era ricoperto di cadaveri, giubbe, vestiti, armi, tamburi, di tutto. Ma il trionfo cristiano era totale.

Fu, come detto, una delle più grandi battaglie navali della storia umana, se non la più grande. La disfatta turca non fu dovuta a vigliaccheria e nemmeno a irreparabili errori tattici. Fu dovuta alla grande abilità di tutta la flotta cristiana , eccetto quella triste figura del Doria, del quale non si può fare a meno di pensare che, con la scusa che doveva allargarsi il più possibile per far spazio all’intera flotta cristiana, in effetti se ne andò del tutto, rimanendo volutamente estraneo alla battaglia e procurando, come detto, la morte di tanti valorosi combattenti, caduti sotto le grinfie di Occhiali. In tal senso, occorre dire che fu senz’altro un errore di ingenuità da parte di Don Juan l’aver affidato proprio al genovese – che a tutti era ben noto… – l’incarico di aprire al largo la flotta, dandogli così di fatto la possibilità di sfuggire al combattimento. Al di là di ciò, determinante fu anche la superiorità tecnica delle armi cristiane: gli archibugi fecero strage dei giannizzeri e la superiore artiglieria permise l’affondamento di tante galee ottomane. Non per niente dall’anno successivo a Costantinopoli si cominciarono a costruire archibugi a tutto spiano… Tanto che Occhiali poté dire che a Lepanto si erano usate per l’ultima volta le frecce.

Subito fu chiaro ai comandanti cristiani di aver ottenuto una vittoria senza precedenti. Non c’era quasi una galea che non ne rimorchiasse una nemica. Furono catturate 160 galee turche e affondate almeno 40. Don Juan parla di 30.000 nemici uccisi e 12.000 cristiani liberati. Ma le perdite furono pesanti anche per i cristiani. Solo i veneziani, persero il 56% dei soldati, il 40% degli scapoli, il 30% dei galeotti, il 18% dei marinai, oltre al Barbarigo e almeno 8 comiti. 

L’impatto emotivo fu enorme e la propaganda della vittoria durò per decenni e coinvolse tutte le arti. La gioia fu incontenibile ovunque, arricchita da feste e le celebrazioni, tanto più dopo secoli di umiliazioni e sconfitte. Impressionante la quantità di “istant-books” che vennero pubblicati nei mesi successivi, di affreschi raffiguranti la battaglia (perfino sulle mura dei grandi palazzi), di quadri, di sculture degli eroi. Immenso il numero delle poesie e delle ricostruzioni letterarie. Fin da subito vi fu la consapevolezza che si trattò della più grande vittoria della Cristianità. Anche se non fu sfruttata bene, come si doveva, in ogni caso segnò la fine del complesso di inferiorità militare cristiano e del mito dell’invincibilità dei turchi. Inoltre, capitata nel pieno entusiasmo delle Riforma Cattolica, creò di fatto una stretta connessione tra questa e la crociata, il cui simbolo umano era ovviamente il papa artefice della vittoria . Ma non solo lui: se Pio V viene proclamato santo, don Juan d’Austria è visto, al di là della sua vita personale non impeccabile, come un’icona della cattolicità; Colonna è accolto in trionfo a Roma come un antico imperatore; Venier diventa Doge; e Filippo II è finalmente degno del padre, mentre Venezia può coprire in tal maniera l’onta della perdita di Cipro".
E, ovviamente, anzitutto a onore della Regina del Santo Rosario.

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